Rappresentare la violenza di genere. Sguardi femministi tra critica, attivismo e scrittura


Nel novembre 2018, mentre a seguito del femicidio e stupro di Desirée Mariottini un acceso dibattito sulla sicurezza delle donne imperversava a suon di strumentalizzazioni politiche, usciva nelle librerie della penisola Rappresentare la violenza di genere. Sguardi femministi tra critica, attivismo e scrittura, pubblicato da Mimesis. Il volume, da me curato assieme a Marina Bettaglio e Silvia Ross, include una serie di contributi di studiose/i, attiviste/i e autrici/autori interessati a discutere le modalità con cui, in Italia, il tema dell’abuso sessista viene affrontato in letteratura, a teatro, al cinema, sui giornali e in televisione.

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A fronte di numerose pubblicazioni che hanno trattato la questione della violenza patriarcale in maniera diretta, studiandone cioè le manifestazioni empiriche per mezzo di ricerche di ordine statistico, sociologico o psicologico, il testo osserva il fenomeno attraverso la lente dei diversi media impiegati per rappresentarlo. Predilige cioè uno sguardo obliquo che, nonostante il suo carattere allusivo, risulta essere cruciale per l’analisi di manifestazioni afferenti alla società contemporanea, in cui la sfera della discorsività assume un ruolo sempre più decisivo. A dirlo, era già Stuart Hall, uno dei fondatori dei cosiddetti Studi Culturali, il quale, parlando di “dimensione simbolica della vita sociale”, sosteneva che la costruzione di significati e di narrazioni analizzabile tramite le produzioni artistico-mediatiche potesse aiutare a comprendere i processi sociali.

Tenendo fede alla metodologia proposta dagli Studi Culturali, la prima parte del volume è composta da analisi di opere incentrate sul tema dell’abuso sessista quali L’amica geniale (2012-2014) di Elena Ferrante, Ferite a morte (2013) di Serena Dandini, Primo amore (2004) di Matteo Garrone, per citarne solamente alcune. La letteratura, il teatro e il cinema emergono dall’indagine non solo come spazi adibiti alla rappresentazione realistica (e, conseguentemente, alla denuncia) del fenomeno, ma anche come territori in cui lo sdoganamento del finzionale e l’esercizio della fantasia aprono a una dimensione di possibilità che risulta essere produttiva per quanto riguarda la prefigurazione di nuove relazionalità capaci di emanciparsi dal principio patriarcale di possesso.

Le rappresentazioni esplicitamente menzionate nel titolo e messe a valore nel resto del volume sono, insomma, ciò che contribuisce a plasmare il discorso che, in Italia, si sta producendo attorno alla violenza di genere. Se, per dirla con l’ormai stracitato ma sempre stranecessario Michel Foucault, il discorso è, oggi più che mai, terreno in cui i rapporti di potere si estrinsecano e le resistenze ai sistemi di dominio si attuano, il ruolo che lo stesso esercita nell’area dell’attivismo femminista è centrale. Partendo da questa consapevolezza, la seconda parte del libro propone interventi di soggettività militanti attive nel contrasto alla violenza di genere. Dall’impegno dell’associazione Gi.U.Li.A e dei Centri antiviolenza nell’ambito del linguaggio giornalistico, passando per le campagne di sensibilizzazione e subvertising ideate dalla blogger Eretica e dalla rete Nonunadimeno, fino alla critica dell’approccio trans-escludente che caratterizza il discorso mediatico sulla violenza di genere sviluppata da Ethan Bonali, le esperienze descritte veicolano tutte un’idea di co-responsabilità verso la (ri)produzione del linguaggio che impieghiamo per parlare di prepotenza sessista. Su queste tematiche, il saggio “Rappresentazione della violenza contro le donne in ambito mediatico e politico. L’impegno dei centri antiviolenza, scritto da Anna Pramstrahler e Cristina Karadole della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, testimonia lo sforzo di popolarizzazione delle riflessioni femministe sulla violenza di genere portato avanti all’interno della piattaforma online che ospita il presente pezzo, il blog Femicidio.

La terza parte del volume ospita poi brevi testimonianze di scrittrici e scrittori quali Nicoletta Vallorani, Giampaolo Simi, Marilù Oliva e Dacia Maraini cimentatisi con la narrazione della violenza. Ciò che si deduce da questa sezione, la quale funge da conclusione all’intero libro, è che la rappresentazione dell’abuso di genere è un terreno scivoloso, ricco di potenzialità così come di rischi. Da una parte, infatti, la mediazione è operazione imprescindibile per ampliare l’eco degli eventi e delle denunce; detta in altre parole, è ciò che consente di parlare di violenza, di criticarla e di immaginare un mondo senza di essa. Dall’altra, la pratica rappresentativa è sempre basata su processi di esclusione che ne denotano la problematicità e, come sostenuto da alcuni studiosi, persino l’intrinseca violenza. Ne è un esempio quella che la filosofa femminista Teresa de Lauretis, ha denominato “violenza della retorica”, vale a dire quel secolare processo di estromissione dal discorso di soggettività considerate marginali come quella femminile. Se è vero che, su questo fronte, grossi passi avanti si stanno facendo, come dimostra anche la popolarizzazione di discorsi che hanno saputo riassegnare centralità all’esperienza della donna (un esempio su tutti, il dibattito sul femminicidio), è altrettanto chiaro che molto è ancora il lavoro da fare per contrastare attivamente i meccanismi di obliterazione o strumentalizzazione della vittima che spesso vengono messi in atto da parte di chi tenta di appropriarsi delle stesse tematiche perseguendo improprie finalità (vedi il precedentemente citato caso Mariottini e la chiara matrice xenofoba di alcuni comunicati di condanna al delitto-stupro).

Di converso, il discorso femminista contro l’abuso di genere non può esimersi dall’assumersi la responsabilità di eleggere quello di inclusività a principio cardine del proprio operare. Solo in questo modo, sembra suggerire il volume includendo svariati interventi sull’abuso vissuto da prospettive non-binarie, transgender e finanche maschili, è possibile ridurre al minimo i rischi impliciti alla “retorica della violenza”.

Nicoletta Mandolini, University College Cork