#ConvegnoFemminicidio. Rappresentazioni sociali della violenza di genere: il femminicidio


Lo scorso 22 marzo, presso l’Aula Poeti di Palazzo Hercolani, sede della Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, si è tenuto un convegno di natura internazionale su quello che risulta essere uno dei temi di dibattito più accesi e attuali a livello nazionale e globale: la rappresentazione sociale della violenza di genere con un focus sul femminicidio.

Intrigante risulta essere proprio la scelta del vocabolario usato per il titolo del convegno: la parola femminicidio, va infatti ricordato, funge da termine ombrello per indicare tutte le forme di violenza di genere operate contro le donne per il solo fatto che siano donne e che vedono, con alte probabilità, nel femmicidio (cioè l’uccisione di una donna in quanto donna) il loro più crudo e terribile risultato.

Le prime battute del convegno vedono Elena Trombini, Prorettrice  dell’Università di Bologna, Pina Lalli e Saveria Capecchi, entrambe del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, presentare quelle che saranno le dinamiche di una giornata all’insegna dell’educazione, dell’interattività, del confronto e del dibattito.

I minuti successivi ai primi impiegati per i classici saluti di rito vedono le tre donne prima citate introdurre un concetto fondamentale per la comprensione del problema: la violenza di genere è un fenomeno globale. In quanto tale, la violenza di genere contro le donne non va considerata come un’eccezione alla regola, come qualcosa di incontrollabile e di conseguenza impossibile da prevedere e /o risolvere.

Come ci tiene a sottolineare Saveria Capecchi, infatti, vi è “un’impressionante regolarità” se si guarda ai dati di tale fenomeno: viene uccisa 1 donna ogni 2/3 giorni, statistica che conferma chiaramente ciò che la critica femminista sostiene a gran voce da tempo a questa parte e cioè l’impossibilità di pensare al femminicidio come ad un evento momentaneo e imprevedibile ma che deve essere invece considerato come una pratica ben radicata a livello sociale e culturale nella nostra società.

Molteplici sono gli attori implicati in questa lotta alla violenza di genere, continua Capecchi, bisogna finanziare la ricerca sul fenomeno e bisogna promuovere leggi e politiche efficaci non solo per contrastare il fenomeno e per punirne i responsabili ma anche e soprattutto per procedere rigidamente verso la sua eradicazione. A tal proposito, interviene Pina Lalli, è necessario, concentrandosi su quello che è il contesto italiano, rendersi conto che quello a cui stiamo facendo fronte non è un “fenomeno nuovo” ma un dibattito che è stato portato, finalmente, nelle arene di discussione pubbliche ottenendo l’attenzione che merita. Sempre più donne muoiono per mano di chi dice di amarle più di ogni altra cosa al mondo e la nostra società finge di non vedere né sentire ciò che accade, definendo la morte di una e cento altre donne l’inaspettato e tragico risultato di un improvviso raptus, deresponsabilizzando completamente l’autore del crimine da ogni tipo di imputazione mediatica, giuridica o morale in virtù di una patologia, quella del raptus appunto, che non esiste neanche clinicamente parlando.

femminicidio locandina 22 marzo 2018

Il discorso sulla violenza contro le donne entra a questo punto nel vivo e con grande emozione sia da parte di chi questo Convegno lo ha organizzato sia da parte di chi è seduto in platea ad ascoltare, vengono accolte Rashida Manjoo (già Special Rapporteur delle Nazioni Unite su Violenza Contro le Donne) e Karen Boyle dell’Università di Strathclyde. Entrambi gli interventi rapiscono i partecipanti, è un piacere ed un onore ascoltare queste due donne discutere di tale fenomeno in maniera lucida e puntuale, non si parla di politiche e giurisdizione in questo caso, il fulcro del discorso verte su quello che è l’aspetto culturale della questione. La prima a parlare è Rashida Manjoo, premiata dall’Associazone delle Docenti Universitarie dell’Università di Bologna con il Premio Addu 2018, che afferma come la violenza di genere altro non sia se non la conseguenza di disuguaglianza e discriminazioni a loro volta frutto di un mondo che si regge su dinamiche e interrelazioni tra i sessi altamente impari.

Il femminicidio inteso come ogni forma di violenza ai danni delle donne in quanto donne va inteso come una negazione del più fondamentale diritto umano alla vita e in quanto tale non può essere ignorato né vedere nell’impunità degli autori la sua conseguenza più certa. La violenza di genere si articola a più livelli di natura strutturale, istituzionale e interpersonale che tra loro si intersecano e che devono necessariamente cooperare se si vogliono promuovere strumenti e politiche realmente efficaci per l’eliminazione del fenomeno su scala mondiale. Alle donne devono essere garantiti pace, uguaglianza, libertà e rispetto in ogni ambito della vita nella sfera pubblica così come in quella privata perché la discriminazione di genere che avviene a porte chiuse nella casa affianco non può e non deve restare impunita o inaudita, tale violenza riguarda tutti donne e uomini in prima persona. Dal momento in cui la violenza di genere va intesa come un fenomeno strutturale e sistemico risulta necessario che lo Stato si impegni nell’attuare una risposta funzionale e sostenibile rispetto al problema e che consista, stando alle parole della Manjoo, nella semplice garanzia di non ripetizione dello stesso crimine ai danni della stessa vittima. Karen Boyle nel sul percorso teorico sulla efinizione di cosa significa “gender based violence” porta dei contrirbuti nuovi e originali nel dibattito italiano spesso fermo nella sua concettualizzazione.

Al termine del confronto presieduto dalle due ospiti internazionali si è tenuta la prima delle quattro Tavole rotonde relativa alle Politiche di Intervento per il Contrasto alla Violenza di Genere che ha visto, tra le altre, la presenza di Francesca Puglisi, Senatrice e Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere della XVII Legislatura. Puglisi apre il dibattito sottolineando l’importanza dell’inserimento, all’interno dei piani di educazione formativa, dell’educazione alla parità di genere e alla prevenzione contro la violenza di genere in modo tale da intervenire in funzione di una vera e propria rivoluzione culturale. Nel 2015, afferma orgogliosamente Puglisi, si è avuta l’attuazione del Primo Piano d’azione straordinario triennale e l’istituzione della Commissione d’Inchiesta che costituisce quasi un unicum a livello internazionale, composta da membri eletti in modo paritario e che ha redatto una relazione finale votata all’unanimità.

Stando alle parole della Senatrice, il grande problema della questione violenza di genere nel contesto italiano riguarda l’ampio divario che c’è tra quella che è la violenza subita e quella che è la violenza denunciata. Solo il 12% delle donne che ha subito violenza sporge denuncia, fra i reati più denunciati figurano lo stalking e la violenza domestica, entrambi più facilmente riconoscibili non solo dalla società ma dalla vittima stessa che è spesso inconsapevole di essere in una situazione di pericolo o di libertà limitata. La domanda sorge dunque spontanea: perché le donne non denunciano? Il problema è che le donne hanno poca fiducia nelle forze dell’ordine e nelle misure prese per tutelarle: attraverso l’analisi dei risultati di un questionario relativo ai dati sull’andamento dei processi e sulla corretta applicazione delle norme vigenti a partire dal 2009 è emerso come siano scarsamente utilizzate, a livello nazionale, alcune norme come l’allontanamento d’urgenza o l’arresto in flagranza di reato. Basti infatti pensare a come, soprattutto nell’area del Mezzogiorno, circa il 46% degli autori di reati contro le donne venga assolto dalla Magistratura, contrariamente al 12% nelle aree del Nord. L’assoluzione degli autori dei crimini e la loro conseguente deresponsabilizzazione dal reato e sì imputabile al sistema giudiziario e alla cultura patriarcale della quale è impregnato ma non può essere combattuto attraverso la mera indignazione: è necessario formare bene tutti gli attori della rete di prevenzione in modo tale da evitare che si verifichi quello che viene in gergo definito re-vittimizzazione della donna ossia una doppia uccisione/violazione della donna non solo a livello individuale ma anche a livello giuridico, mediatico e sociale. Un esempio immediato di come la formazione degli operatori/trici sia fondamentale nella risoluzione di determinati casi giudiziari si ha prendendo in considerazione le numerose violazioni di uno degli articoli della Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, in materia di affido di minori condiviso dai genitori in caso di violenza domestica: spesso è stato concesso l’affidamento esclusivo al padre maltrattante per via della mancanza di capacità di discernimento da parte degli operatori coinvolti nel processo tra quelle che sono semplici diatribe familiari e quelli che sono invece chiari e significativi indicatori di violenza.

Nel contesto italiano è infatti possibile notare come la necessità di sopperire a quello che è un grave vuoto normativo in materia di violenza di genere non debba essere affrontato solo a livello legislativo e dunque giurisdizionale in relazione a quelle che sono le pene da attribuire agli autori di tali crimini per renderli responsabili delle loro azioni ma soprattutto a livello culturale, con una funzione di tipo strumentale, in virtù di un cambiamento radicale all’interno degli ambienti di giustizia che troppo spesso non ascoltano e non credono alle donne che ad essi si rivolgono.

Dopo la pausa pranzo che si è tenuta tra le 13.30 e le 14.30, durante la seconda parte del Convegno, quella dedicata alle altre tre Tavole Rotonde e alle Conclusioni su quelle che erano state le varie tematiche affrontate, mentre nell’Aula 2 si discuteva di violenza di genere, diritti e giustizia con l’avvocata Barbara Spinelli e la giudice della Corte di Cassazione Mirella Agliastro, nell’Aula Poeti si è continuato a dibattere su quelli che sono i credo culturali, le cause sociali e le rappresentazioni mediatiche del fenomeno in questione con una Tavola rotonda coordinata da Marinella Belluati.

A prendere la parola sono stati Linda Laura Sabbadini, Anna Pramstrahler, Renato Stella, Fabio Piacenti e Marina Cosi che ci hanno brillantemente illustrato quali siano ad oggi i problemi a livello statistico e mediatico in relazione alla violenza di genere. Nel corso della discussione è stato sottolineato, ancora una volta, come le donne abbiano molta paura e soprattutto molta vergogna quando si tratta di denunciare o semplicemente rivelare la violenza subita, infatti, dati alla mano, il 90% delle donne che subisce violenza non denuncia e del restante 10% nella quasi metà dei casi la denuncia viene archiviata. Un sistema di questo tipo certamente non consente alle donne di sentirsi tutelate e le spinge quindi a rimanere silenti di fronte ad un uomo violento, padrone, maschilista sia in ambito familiare che lavorativo.

A tal proposito, sottolinea Pramstrahler, portavoce della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, è doveroso impegnarsi anche nella lotta contro un uso improprio del termine femminicidio e soprattutto è necessario che ne venga data una definizione, ufficialmente riconosciuta sul piano nazionale, inclusiva di tutte le forme di violenza contro le donne comprendendo anche quei delitti letali di donne legati a misoginia, controllo del corpo e prostituzione. La mancanza di una definizione ufficiale e comprensiva di ogni forma di violenza di genere all’interno del panorama legale e culturale italiano fa sì che ogni tipo di indagine o statistica relativa al fenomeno sia incompleta rendendo dunque meno spaventosa, per usare un eufemismo, tale realtà agli occhi dei più. Ciò su cui è necessario insistere è la creazione di un Osservatorio Nazionale in materia di violenza di genere come previsto dalla legge denominata Femminicidio 119/2013 e renderlo operativo al più presto. È importante che ci sia un organo operativo preposto allo studio, all’analisi e alla raccolta di situazioni e casi di delitti e violenza contro le donne che risulti essere però in grado di distinguere caso per caso e di combinare criteri scientifici di ricerca e approfondimento dei contenuti.

Altro tema fondamentale è stato quello relativo alla rappresentazione mediatica, giornalistica e non, del fenomeno della violenza di genere con un focus su come il linguaggio usato dai giornalisti e l’attenzione mediatica rivolta esclusivamente alle storie più macabre e violente favorisca, tra l’opinione pubblica, l’idea che ci siano due soli attori nella vicenda: la vittima e il carnefice. Il carnefice, è però colui che ha agito in preda ad uno scatto d’ira e perciò non essendo in pieno possesso delle sue facoltà mentali può essere se non giustificato perlomeno deresponsabilizzato rendendo la donna non solo vittima ma anche carnefice di se stessa.

In conclusione risulta emblematico e decisivo l’intervento di Pina Lalli che invita alla promozione della cultura della non violenza, del rispetto e della libertà delle donne a partire dalle scuole perché il futuro non è ancora scritto e i bambini e le bambine che educhiamo oggi saranno gli uomini rispettosi di domani.

Auguriamo buon lavoro nel proseguimento della ricerca a queste amiche dell’Università che svolgeranno la ricerca sul tema per altri 3 anni.

di Antonella Crichigno

FEMICIDE WATCH PLATFORM. Notizie da Vienna, 23 marzo 2017


Migliaia di uomini e donne, le cui morti vengono classificate indistintamente come omicidi, vengono uccisi quotidianamente in ogni parte del mondo. Quello che occorre ricordare è che, sebbene in ogni caso l’elemento comune sia la fine di una vita, esiste una componente fondamentale nell’uccisione delle donne che è estranea alla realtà delle morti maschili: il genere. Va quindi sottolineata la necessità di usare una terminologia diversa, quella di femicidio appunto, per indicare l’uccisione di una o più donne da parte di un individuo di sesso maschile per il solo fatto che siano donne.

Quello sul femicidio è un dibattito che impegna autorità, attivist* e opinione comune a livello globale seppur con enormi differenze a seconda della regione del mondo presa in considerazione. Ciò su cui si è però d’accordo a livello internazionale è la necessità di metodi efficaci per la raccolta dati sul femicidio. A tal proposito, in occasione della 26esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite su Prevenzione e Giustizia Criminale (CCPCJ) tenutasi a Vienna il 23 marzo 2017, numerose associazioni tra cui WAVE (Women Against Violence Europe),  l’Ufficio del Relatore Speciale contro la Violenza Sulle Donne, OCSE, ACUNS e UNODC hanno organizzato un panel estremamente dettagliato che ha sottolineato la necessità di far ricerca efficace e intelligente sul tema, ricerca che vada oltre i dati sul femicidio che vengono quotidianamente raccolti. Da qui l’idea della Special Rapporteur on Violence Against Women,  Dubravka Šimonović, di lanciare un progetto di monitoraggio online, la Piattaforma sul Femicidio, per rendere visibile l’invisibile. Il prototipo è stato sviluppato dal Consiglio Accademico di Vienna da ACUNS e dall’Associazione degli studi delle Nazioni Unite, in consultazione con molte parti interessate, tra cui UNODC e il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. Il prototipo contiene informazioni chiave sui femicidi quali definizioni, dati ufficiali e documenti importanti e le migliori pratiche in vari settori d’azione, inclusi gli sforzi di raccolta di dati, le indagini, la legislazione e le misure di prevenzione provenienti da tutto il mondo. Offrendo una piattaforma globale e integrata, fornisce anche informazioni per i responsabili politici e decisionali a tutti i livelli, che vanno dal sistema della giustizia penale agli attivisti della società civile e agli accademici e ai praticanti. Il lancio è avvenuto presso il CCPCJ al fine di sensibilizzare e garantire il supporto necessario per trasformare il prototipo in uno strumento globale. Ogni paese o organizzazione che desidera contribuire può farlo contattando ACUNS o l’Associazione Studi degli Stati Uniti.

Durante la conferenza, tre sono stati i casi analizzati grazie all’intervento di tre distinti membri del network WAVE : Women’s Aid Ireland, the Women’s Support Center from Armenia e femicidio.net (Spagna) che hanno presentato metodi alternativi per la raccolta dei dati sul femicidio, sviluppati e applicati nei rispettivi paesi.

IRLANDA

Il Femicide Watch Project 1996-2016 mostra come le donne siano di solito pugnalate a morte o strangolate confermando quanto già affermato dalle vittime che si sono rivolte all’Helpline (Telfono Rosa Irlandese) chiedendo aiuto dopo tentati strangolamenti e tentativi di accoltellamento. Nel corso dell’ultimo ventennio 209 donne sono morte violentemente nella Repubblica d’Irlanda, 89 delle quali uccise da colui che viene definito un  IP ossia un intimate partner – (ex) marito, fidanzato, compagno – 54 donne sono state uccise da un loro parente di sesso maschile, 21 da un perfetto sconosciuto. Ciò che spesso viene escluso dal bilancio finale è l’impatto che queste morti hanno sulle vite dei bambini coinvolti, ben 16 di questi sono morti al fianco delle loro madri nel solo territorio d’Irlanda negli ultimi 20 anni. La violenza sessuale/stupro è stata riportata in 22 dei 209 casi di femicidio di cui si è a conoscenza. Il numero totale, infatti, ci tengono a farci notare gli advocates di Women’s Aid Ireland, non è preciso al cento percento dal momento in cui i casi di violenza psicologica, economica o sessuale ai danni delle donne all’interno di una relazione eterosessuale spesso non vengono denunciati né tanto meno riconosciuti o presi in considerazione dalle autorità.

Per quanto concerne la raccolta dei dati relativi al fenomeno, l’Irlanda si preoccupa di osservare sia le donne che gli uomini coinvolti in modo da poter analizzare quali sono i fattori che determinano la trasformazione di questi ultimi in autori di femicidio e/o violenza di genere sulle donne. L’idea è stata quella  di creare Domestic Homicide Reviews (DHRs) che si occupa di fornire valutazioni sistematiche di più enti/organizzazioni volte al miglioramento del riconoscimento del rischio e dei gap che ci sono tra le politiche di tutela delle donne e la loro messa in pratica. L’idea è quella di facilitare il riconoscimento dei fattori di rischio e della sensibilizzazione rispetto al fenomeno in modo tale da garantire la sicurezza per le donne e i loro bambini attraverso una rete capillare che coinvolge istituzioni nazionali, ONG, enti locali e famiglie. Dalla ricerca è emerso che, conformemente al resto del mondo, la fascia d’età più a rischio è quella che comprende le donne tra i 26 e i 35 anni e che nell’ultimo ventennio si è assistito ad una diminuzione del numero di femicidi in Irlanda. Nonostante questa sembri essere una bella notizia, la mancanza di dati approfonditi non ci permette di analizzare le ragioni di tale decrescita e ci costringe ad apprendere silenti questa, seppur leggermente più rosea, realtà.

ARMENIA

I cosiddetti omicidi “domestici” in Armenia sono, per la maggior parte, perpetrati dagli uomini ai danni delle donne e nei rari casi in cui risultino essere azioni delle donne nei confronti dei loro Intimate Partner è quasi sempre per difesa personale. I casi di femicidio sono estremamente sottovalutati per via dello scarsa efficacia del meccanismo di denuncia e di uno sforzo costante di insabbiare i casi da parte delle autorità in accordo con le famiglie degli autori del crimine in questione.  Tra il 2010 e il 2015, infatti, solo 30 casi di femicidio sono stati registrati dalle autorità nel contesto armeno. A livello mondiale invece i numeri sono spaventosi: circa 66.000 donne e ragazze vengono uccise ogni anno costituendo circa il 17% di tutte le vittime di omicidio intenzionale. La violenza domestica, che sembra essere prevalente nel contesto armeno, è una brutale manifestazione degli stereotipi e delle norme di genere che vigono nel paese. Da quanto riportato, quasi tutte le donne uccise si erano precedentemente rivolte a familiari, amici e autorità in cerca di aiuto in un sistema che però preferisce tacere pur di non minare il rispetto comune nei confronti di una famiglia. Ciò che risulta ancora più allarmante è che degli autori dei 30 casi riportati quasi tutti avevano una storia di violenza documentata confermata dai report della polizia o dalle interviste con la famiglia, gli amici, o coloro coinvolti nell’indagine. Nonostante ciò dal 2010 la maggior parte degli autori di femicidio non è stata accusata o arrestata e il fenomeno sembra essere strettamente collegato al fatto che il 63% dei femicidi avviene nelle zone rurali  in cui è ancora presente un elevato numero di persone che considera la violenza di genere e il femicidio legittimati dalla cultura e dalla tradizione.

Le statistiche sull’ IP femicide non sono facili da reperire né da ottenere nei territori dell’ex Unione Sovietica, né tantomeno in Armenia dal momento in cui numerosi enti nazionali nel fornire i dati non operano una distinzione tra le violenze comuni e le violenze con matrice di genere. Per tale ragione il Women’s Support Centre Armenia ha affermato la necessità di metodi creativi per la raccolta dati sul femicidio soprattutto in contesti in cui la ricerca è limitata come nel caso armeno, dove i report sono incompleti o inesistenti e la polizia sembra non interessarsi al fenomeno. Informazioni precise ed accurate rispetto al problema risultano cruciali nella promozione della prevenzione e della lotta alla violenza di genere, a tal proposito la ricerca deve concentrarsi su uomini e donne contemporaneamente distaccandosi dalle immagini fornite dai media che parlano della violenza contro le donne come di una deviazione dalla norma invece che come di un fenomeno di tendenza in continuo aumento e dal sensazionalismo mediatico che punta sulla de-umanizzazione del carnefice e sulla colpevolezza della vittima.

SPAGNA

L’anno scorso in Spagna sono stati registrati, stando a quanto riportato dal blog feminicidio.net, 105 casi di femicidio. Sebbene il dato sia già di per sé allarmante quella che viene criticata dalle femministe del network è la mancanza di una definizione di femìnicidio inclusiva di tutte le forme di crimine e assassino contro le donne ad opera di soggetti di sesso maschile.  Anche nel contesto spagnolo il femicidio viene riconosciuto come il prodotto di un ordine sociale rafforzato a livello culturale, sociale, religioso, politico e istituzionale dallo Stato. Ciò che però manca ad oggi è una statistica comparata livello mondiale tra i vari paesi in merito a tale fenomeno, per questo motivo è stato creato il progetto Geofeminicidio che registra e documenta ogni singolo caso di uccisione di donne avvenuto sul suolo spagnolo a partire dal 2010. L’iniziativa nasce perché la Ley Orgànica 1/2004 riconosce come vittime, all’interno delle statistiche ufficiali, solo le donne legate all’uomo che ha commesso il delitto da una relazione presente o passata, quella che in Spagna viene chiamata (ex)pareja. Questa definizione limitata di violenza ha effetti diretti sul conteggio totale dei casi di femicidio, il fatto che non si documentino né riconoscano altri casi di femicidio né altre forme di violenza di genere fa si che tutto resti invisibile e che il fenomeno passi in  molti casi inosservato impedendo il disegno di politiche pubbliche efficaci volte a prevenire, combattere e sanzionare tali crimini. Le attiviste di feminicidio.net hanno perciò affermato la necessità di una metodologia di raccolta dati che sia applicabile a diversi territori e tipi di crimine contro le donne attraverso l’uso di due diversi tipi di fonti: quelle ufficiali relative alla Legge Organica e al concetto di pareja, e quelle cosiddette hemerograficas ottenute attraverso lo studio dei quotidiani e degli articoli relativi alle uccisioni delle donne in Spagna. Dal momento in cui tutti i femicidi sono crimini contro le donne ma non tutti gli assassinii di donne sono femicidi, le attiviste della rete spagnola hanno creato un semplice paradigma di analisi che divide in quattro macro-categorie i casi di femicidi che dal loro punto di vista dovrebbero rientrare nelle statistiche ufficiali: femicidi commessi in nome del patriarcato, ogni caso di uccisione di donna per mano maschile, uccisione di transessuali, violenti suicidi di donne sicuramente istigati da una controparte maschile.

Antonella Crichigno

Link utili:

Seminario “Femminicidio: una lettura femminista” 29 novembre – Bologna


Nell’ambito del Festival de La violenza illustrata il Gruppo Femicidio oragnizza un seminario dal titolo:

Femminicidio: una lettura femminista
Il dibattito internazionale e il riconoscimento come violazione dei diritti umani

Luogo: Casa delle donne per non subire violenza

Via dell’Oro 3 – Bologna

sabato 29 novembre, ore 10:00-16:00

Foto murales Roma

Il femminicidio è una manifestazione della violenza maschile sulle donne diffusa in tutto il mondo. Solo da pochi anni è stato oggetto di un’attenzione specifica da parte della politica, dei media e del mondo accademico. Nel seminario, oltre a ripercorrere le origini del neologismo, verrà illustrato il dibattito internazionale in materia, con particolare attenzione ai percorsi di rivendicazione politica e di riconoscimento giuridico, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite come violazioni dei diritti umani. Verranno riportati studi e ricerche recenti sul temi e approfondimenti sul fenomeno e della sua interpretazione in Italia e nel mondo.

Seminario organizzato dal Gruppo femicidio della Casa delle donne di Bologna in collaborazione con Barbara Spinelli, avvocata, esperta in materia di femminicidio.

Iscrizione entro il 20 novembre e informazioni via mail a: femicidio.casadonne@gmail.com Iscrizione aperta a tutte le interessate dietro un contributo di € 20 che comprende il materiale e pranzo.

Il programma della giornata.

Parchi e giardini per ricordare le donne vittime di femminicidio


Oggi vogliamo condividere con voi l’elenco delle strade, dei parchi, dei giardini che si stanno diffondendo in tutt’Italia per ricordare le donne vittime di femminicidio. Vorremmo che sempre più persone venissero a conoscenza dell’esistenza di questi luoghi poiché vorremmo che diventassero non solo luoghi della memoria, ma anche un punto focale per l’attivismo delle donne contro la violenza maschilista ed un punto di partenza per iniziative pubbliche volte ad accrescere la consapevolezza di tutti sulla violenza contro le donne in Italia e nel mondo.

  • Bari
  • Potenza
  • Roma
  • Torino
  • Corigliano Calabro
  • Genova
  • Vittoria
  • Bologna (Zola Predosa)

BARI, Ceglie del Campo. Giardino vittime del femminicidio, incrocio tra via Di Venere, via San Giuseppe Marello e via Municipio. Il parco ricorda in particolare Chiara Brandonisio uccisa a Ceglie del Campo nel 2010.

Sempre a Bari (Palese-Macchie) verrà intestata una strada a “Santa Scorese, Vittima del femminicidio 1968-1991”.

bari 1 ANSA BARI 2 ANSA

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1 Billion Rising for Justice


Grazie a noi, il 14 febbraio sta diventando un’altra cosa. Non più solo il giorno degli innamorati, ma la giornata che celebra un amore differente, più consapevole, senza segni di violenza.

– Eve Ensler

Una donna su tre è destinata a subire violenza nel corso della sua vita. Ogni anno un miliardo di donne ballano per spezzare questa catena. L’anno scorso un miliardo di donne in 207 paesi del mondo ha ballato contro la violenza maschile. Quest’anno balleremo anche per chiedere giustizia.

Infatti, come ha dichiarato Eve Ensler, l’ideatrice del flash mob: “Quest’anno l’idea forte è andare oltre la sottolineatura della violenza contro le donne, perchè siamo consapevoli che dietro la violenza di genere esiste una rete complessa di complicità, di corruzione e persino di degrado ambientale” e quindi “senza affrontare il tema dell’ingiustizia la battaglia contro la violenza non può essere vinta”.

La giustizia può e deve assumere tante forme che comprendono, ma vanno anche oltre, l’azione penale e la condanna degli autori delle violenze. La giustizia deve assumere la forma di una spinta al cambiamento verso la fine di tutte le forme di violenza, discriminazione e patriarcato.

1 billion logo bologna

A Bologna la Casa delle Donne è in prima linea nell’organizzazione e promozione del flash mob. Anna Pramstrahler ha dichiarato infatti che l’iniziativa è una “possibilità di portare in piazza forme di protesta e di visibilità delle donne contro la violenza“. E’ proprio quello di dare visibilità ad un fenomeno che tipicamente rimane chiuso nella sfera del privato e del domestico uno degli scopi della manifestazione di oggi. Il fatto poi di ballare e reclamare attivamente giustizia si contrappone a tutte quelle immagini di donne-vittime che troppo spesso ci vengono riproposte quando si parla di lotta alla violenza.

Il programma a Bologna:

  • Ore  17.30 Flash Mob in Piazza Nettuno
  • Ore 18.00 Parata: via Rizzoli, via Zamboni, via delle Moline, via Indipendenza fino al Parco della Montagnola
  • Ore 19.30 Flash Mob e festa con musica presso la Tenda del Parco della Montagnola. Ingresso a offerta libera a sostegno della Casa dell Donne di Bologna

liberiamoci ribelliamoci scateniamoci

Informazioni utili

  • Per maggiori informazioni sulla giornata di oggi visitate la pagina Facebook del 1 Billion Rising a Bologna (qui)
  • Se non sapete come prepararvi, ecco un video su come realizzare con poco materiale e in velocità pettorine e fasce per il flash mob (qui)
  • Intervista a Eve Ensler sull’Huffington post (qui)
  • Trovate un sacco di notizie e informazioni utili anche sulla pagina Facebook della Casa delle Donne di Bologna (qui)
  • Pagina ufficiale del 1 Billion Rising (qui)
  • Articolo su 24Emilia.com / partecipazione del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia Romagna (qui)

Le rilevazioni dei centri antiviolenza milanesi sono in linea con i risultati della ricerca sul femicidio della Casa delle Donne di Bologna


Oggi vi segnaliamo un articolo sul progetto “In rete si può” il quale raggruppa nove realtà milanesi che si occupano di violenza contro le donne.

Questo progetto ha avuto come risultato quello di tracciare un identikit delle donne che subiscono violenza nella zona di Milano. Il quadro complessivo che emerge dall’analisi è completamente in linea con i risultati dell’ultima ricerca sui femicidi (uccisioni di donne per motivi di genere) in Italia condotta dalle volontarie della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.

In particolare si riscontra coerenza fra i dati raccolti a Milano e quelli raccolti sulla stampa nazionale dalle volontarie di Bologna sui seguenti punti:

  • le donne vittime di violenza e di femicidi in Italia sono per la maggior parte italiane, così come sono italiani la maggior parte degli autori di tali violenze;
  • nella maggior parte dei casi l’autore della violenza è il marito/convivente/fidanzato o l’ex-marito/convivente/fidanzato;
  • le violenze non sono quasi mai il risultato del c.d. “raptus”. Infatti, la maggior parte delle donne che subisce violenza, così come la maggior parte delle donne vittima di femicidio, ha già subito violenza in passato;
  • per la Casa delle donne di Bologna, il tratto che accomuna gran parte dei femicidi è quello della volontà di potere e controllo dell’uomo sulla donna, la sua incapacità di accettarne le scelte di autonomia: le stesse motivazioni che sono all’origine della violenza di genere. Secondo l’analisi di “In rete si può” similmente, <<forse più della presunta fragilità delle donne è il loro desiderio di libertà e di autonomia a scatenare la violenza>> poiché <<Il 60 per cento delle donne che hanno subito violenza ha un’occupazione e il 64% dispone di risorse proprie>>.

Riteniamo che la coerenza tra i risultati delle due ricerche (completamente indipendenti l’una dall’altra) giochi a favore della correttezza e dell’accuratezza delle rispettive analisi. Le quali si confermano in questo modo uno strumento essenziale per lo studio delle caratteristiche della violenza di genere in Italia in attesa di un’indagine onnicomprensiva ad opera dello Stato ad oggi ancora assente.

copertina ricerca femicidi casa donne

Riferimenti

FEMMINICIDIO. Il femminile impossibile da sopportare.


In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, la Casa internazionale delle donne di Roma ha deciso di pubblicare la prima parte dell’Ebook gratuito: Femminicidio. Il femminile impossibile da sopportare. Si tratta di una raccolta degli interventi avvenuti durante l’incontro sul femminicidio tenutisi il 17 maggio 2013 alla Casa internazionale delle donne di Roma.

A questa conferenza hanno aderito diverse realtà coinvolte nella lotta alla violenza contro le donne, quali: rappresentanti istituzionali, giuristi, psicoanalisti e operatori del sociale. L’intento di quest’incontro e dell’Ebook che ne è il risultato, è infatti quello di contribuire a creare una rete tra chi opera per contrastare la violenza di genere al fine di agire in maniera congiunta sulle cause sociali e culturali del femminicidio.

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Clicca qui per scaricare l’Ebook Femminicidio – Volume 1

In questa sede vorremmo soffermarci sull’intervento di Maria Grazia Passuello di Solidea, Istituzione di genere femminile e solidarietà della Provincia di Roma. Maria Grazia ha parlato della relazione storica tra i momenti di crisi e i femminicidi:

“la disarticolazione sociale e morale, il diffuso clima di incertezza e di paura favoriscono l’esprimersi esasperato di antiche pulsioni contro il genere femminile. Si sa che in tempi di crisi e di trasformazione sulle donne si addensa un sovraccarico simbolico e pratico di domande e di pretese.” In queste situazioni, ha aggiunto, “le donne vengono ancor più percepite come anello fisicamente e socialmente debole sul quale scaricare frustrazioni e aggressività”.

Maria Grazia ha sostenuto che è di fondamentale importanza creare una rete con tutti gli attori coinvolti nella lotta alla violenza di genere e, in particolare, ha focalizzato l’attenzione dei presenti sul rischio di recidiva e sul rischio di escalation di violenza (nello specifico sul metodo SARA).

Infatti, nel 2012 il 70% delle donne vittime di femminicidio in Italia aveva chiesto aiuto alle forze dell’ordine senza però ricevere risposte adeguate. Secondo Maria Grazia Passuello:

“valutare il rischio avrebbe senz’altro salvato molte di queste vite”, per questo la valutazione del rischio dovrebbe diventare obbligatoria per legge. All’atto pratico si tratterebbe di “applicare con maggiore decisione e continuità le misure cautelari di diverso grado, già previste dalla normativa in vigore, quali l’ordine di allontanamento dalla casa domiciliare, il divieto di dimora o la custodia in carcere”.

La seconda parte dell’Ebook verrà pubblicata sul sito della Casa Internazionale delle donne di Roma il 9 dicembre. Seguirà la terza e ultima parte il 16 dicembre.logo casa internazionale donne roma

La violenza non è uno spettacolo e quindi non deve essere usata per vendere


Alla luce del crescente risalto dato dai media e dalla politica ai femminicidi e, più in generale, alla violenza contro le donne, è importante valutare la qualità dei messaggi che riceviamo sul tema. Per quanto riguarda i messaggi pubblicitari, essi richiedono un’analisi critica nel corso della quale dobbiamo chiederci se siamo di fronte ad iniziative che servono veramente a migliorare la situazione corrente o se, invece, servono solamente altri fini.

Infatti, visto che questi temi e termini sono diventati di utilizzo corrente, c’è la possibilità di incorrere nel cosiddetto gender washing. In un post sul blog La 27esima ora, Marta Serafini spiega che con gender washing si intende il tentativo da parte di alcune aziende di lavare la propria immagine attraverso campagne di marketing contro il femminicidio. Secondo Marta Serafini,

il messaggio [delle aziende] sarà: “il nostro primo pensiero è per le donne, la loro parità, i loro diritti”. Ci proporranno spot di fronte ai quali ci sentiremo capite e amate. Ma non è assolutamente detto che dietro l’apparenza ci sia sostanza.

In quest’ottica per comprendere se un’azienda intraprende una campagna sulla violenza in modo etico potremmo soppesare da un lato, il guadagno che l’azienda trae dalla campagna, e dall’altro quanto l’azienda restituisce alla società. Una ditta infatti potrebbe usare una campagna del genere per lavare la sua immagine, apparire al pubblico sotto una luce positiva e quindi averne un ritorno economico consistente. Se è innegabile che il ritorno per la società della campagna pubblicitaria è la maggior informazione sull’argomento, è anche vero che, visto il ritorno economico che l’azienda ha avuto, non possiamo accontentarci solo dell’informazione. Chiediamoci poi di che tipo di informazione si tratta. Certo non si tratterà di conoscenze politiche o sociali approfondite, ma più probabilmente di un moto di coscienza in stile social network: dove per un breve periodo tante persone si “mobilitano” attorno a un tema mettendo “mi piace” su una pagina di Facebook. Chiediamoci ad esempio quanta sostanza c’è dietro alla campagna “Ferma il bastardo” di Yamamay. Aprendo la pagina di fb della campagna notiamo due cose: la prima è che i “mi piace” sono numerosi, hanno superato i 91.000, e la seconda è che la foto utilizzata per la campagna rappresenta l’ennesima donna con l’occhio nero, una donna vittima. Sempre guardando la pagina possiamo notare che da nessuna parte si trova indicazione del numero antiviolenza 1522. Si nota invece che le magliette utilizzate per sponsorizzare la campagna mettono bene in luce il brand in questione: se sulla maglietta si legge che Yamamay punta l’obiettivo contro la violenza sulle donne, in che modo si propone concretamente di aiutare le sopravvissute alla violenza? Qual è l’obiettivo di questa campagna?

Ferma-il-bastardo-YAMAMAY      Y-02

Ben vengano le aziende che hanno la volontà di sposare temi importanti come la lotta alla violenza, ma il compito di chi questi temi li ha veramente a cuore è quello di essere esigenti nei confronti di queste aziende e di chiedere un ritorno concreto per la società. In un’intervista fatta qualche tempo fa da Daniela Monti a Gianluigi Cimmino, amministratore delegato di Yamamay, quest’ultimo ha dichiarato che le tragedie delle donne “non gli faranno vendere una mutanda in più”. Non ci esprimiamo sulle mutande, ma sicuramente di magliette come quella che vedete nella foto sopra ne sono state vendute. Infatti Cimmino più di recente ha dichiarato che dalla vendita delle t-shit verrà dato il ricavato a sostegno delle associazioni sul territorio. Ci auguriamo che il beneficio d’immagine (e non solo) ricavato da Yamamay sia pari al sostegno che l’azienda devolverà a favore delle associazioni antiviolenza che da anni, senza scopo di lucro, aiutano le donne a combattere la violenza.

La mostra di vignette “No al Silenzio! Basta violenza sulla donne” di Furio Sandrini, meglio noto come Corvo Rosso, ha un altro taglio. Se da una parte sul sito di Corvo Rosso c’è diverso merchandise in vendita (anche legato al tema della violenza), notiamo che è anche presente una sezione dedicata alla rete dei centri antiviolenza che permette alle donne in difficoltà di localizzare qual è il centro ad esse più vicino. La mostra inoltre fa da cornice ad un vasto programma di eventi sociali e culturali come mostre, spettacoli teatrali e dibattiti legati al tema della violenza che avverranno a Milano dal 14 settembre al 27 ottobre.

corvocorvo centri

In conclusione, è importante valutare la qualità del messaggio che ci viene dato quando si parla di violenza sulle donne, e soppesare il beneficio che l’azienda trae dalla campagna con quanto invece restituirà alla società sottoforma di informazione ma soprattutto di aiuti concreti alle donne sopravvissute alla violenza e ai centri che queste donne le hanno sostenute nei percorsi di uscita dalla violenza anche quando parlare di violenza in Italia non garantiva ritorni d’immagine positivi ma era quasi un tabù.

Chi sicuramente non ha bisogno di lavare la propria immagine con campagne contro la violenza è chi la violenza la combatte da vent’anni. Iniziative quali il Il Festival La Violenza Illustrata, organizzato ogni anno dalla Casa delle donne di Bologna attorno al 25 novembre, mirano a sensibilizzare sull’argomento senza secondi fini né cliché. Sul blog del Festival troverete presto il calendario degli eventi di quest’anno.

blog violenza illustrata

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Riferimenti

Intervista a Joumana Haddad


Serve un nuovo femminismo, che non opponga le donne agli uomini ma che li renda complici.

L’intellettuale libanese Joumana Haddad intervistata da Erica Balduzzi sui temi del femminicidio e del machismo in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Superman è arabo. Su Dio, il matrimonio, il machismo e altre invenzioni disastrose”

Articolo di Erica Balduzzi, Femminicidi e machismo: intervista all’intellettuale libanese Joumana Haddad,  Diritto di Critica, 3 giugno 2013