Più si parla di femminicidi, meglio è!


La copertura mediatica dei femminicidi aumenta la propensione a chiamare una linea
di assistenza antiviolenza oppure aumenta il timore di ritorsioni da parte dell’uomo
violento?
Secondo le studiose e gli studiosi Marco Colagrossi, Claudio Deiana, Davide
Dragone, Andrea Geraci, Ludovica Giua ed Elisa Iori, e la loro ricerca intitolata:
Intimate partner violence and help-seeking: The role of femicide news (Violenza dei
partner e ricerca di aiuto: il ruolo dell’informazione sui femminicidi), pubblicata
recentemente, la copertura mediatica è un canale importante per combattere la
violenza contro le donne.
Secondo il loro studio, dopo la notizia di un femminicidio le chiamate alla linea
telefonica di assistenza (1522) aumentano dell’11% e le denunce di polizia aumentano
del 6%. 1 L’effetto, dovuto, ad esempio, all’empatia o identificazione con la vittima,
sembra essere di breve durata e geograficamente localizzato, siccome si verifica in
provincia e nella settimana successiva a quando è avvenuto il femminicidio. Tuttavia,
questo effetto virtuoso svanisce rapidamente: dopo una settimana il numero delle
chiamate torna alla normalità e dopo un mese altrettanto fa il numero delle denunce.
In più, lo studio dimostra anche che le chiamate aumentano di più quando la vittima è
giovane e senza figli. Inoltre, più il femminicidio è brutale più suscita interesse e
curiosità e la copertura delle notizie è maggiore (per esempio come il crudele
femminicidio della studentessa Giulia Cecchettin).
La ricerca in oggetto ha combinato diverse fonti che si riferiscono al periodo 2015-
2019 in Italia. Le cinque fonti combinate sono le informazioni su i femminicidi
(raccolti dal set di dati della Casa delle Donne per non subire violenza di Bolgona),
le chiamate al numero di emergenza 1522, le segnalazioni in polizia di abusi
domestici e maltrattamenti, le ricerche su Google dei nomi delle vittime di
femminicidi e la copertura giornalistica su violenza contro le donne.
Emerge che, in media, ogni giorno solo l’1.6% delle notizie tratta argomenti legati
alla violenza di genere. Lo studio ribadisce l’importanza di aumentare la
consapevolezza e fornire informazioni, campagne di informazione continuative e
ricorrenti, e discussioni pubbliche per favorire la ricerca di aiuto.

1. Chiamare il numero di assistenza può essere un metodo più sicuro ed efficace per sfuggire alla
violenza, come rifugio e sostegno. Le misure possono essere immediatamente attivate mentre la
privacy della sopravvissuta è protetta. Quando la violenza viene denunciata alla polizia, d’altro canto,
l’aggressore viene informato e ciò può aumentare il rischio di ritorsioni nei confronti della vittima.
Circa una vittima su tre che chiama la linea di assistenza non si presenta alla polizia né fa la denuncia
per paura dell’aggressore, per non avere un posto sicuro dove andare o perché la polizia consiglia di
non denunciare (ISTAT, 2021). Il riconoscimento della violenza e le chiamate alla linea telefonica di
assistenza o alle associazioni delle donne puó essere il primo passo per porre fine alla violenza di
genere.

Le conclusioni dello studio sull’importanza della visibilità mediatica della violenza
contro le donne coincidono con altre ricerche (Levy e Mattsson, 2020, Gauthier,
2022) che mostrano, per esempio, l’effetto del movimento #MeToo sulla denuncia di
crimini sessuali. Si stima un aumento del 10% delle denunce di crimini sessuali su un
ampio campione di paesi OCSE e che il #MeToo rappresenti la causa del circa 25%
dell’aumento delle segnalazioni di crimini sessuali nel periodo 2017-2019.
La forza del #MeToo sta nella sua dimensione politica e sociale, quindi, non solo
dobbiamo avere più notizie e campagne contro il femminicidio e la violenza di
genere, ma anche cercare di capire meglio il fenomeno e incoraggiare una riflessione
su come eridicarlo una volta per tutte. Dobbiamo fare ricerche qualitative per
analizzare perché, per esempio, un femminicidio-omicidio non suscita interesse e
quindi non genera un aumento delle chiamate ai Centri antiviolenza presenti sul
territorio.
Da parte nostra, ci sembra importante ribadire che non tutte le volte che un
femminicidio balza agli onori della cronaca sia anche trattato nel modo giusto e
rispettoso per le donne uccise. Sottolineiamo l’importanza di un’altra cultura
mediatica, non solo che “più notizie ci sono, meglio è”.

2. Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Athanasia Kontochristou

I dati mondiali del femminicidio nel 2021 tramite il nuovo rapporto UNODC e UN Women. 45.000 donne uccise, una strage preannunciata.


Presentiamo, come abbiamo fatto anche l’anno scorso, la sintesi di un report internazionale delll’UNODC (Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine)[1] che è considerata la più affidabile fonte in termini di dati numerici e quantitativi sul femminicidio, malgrado le mancanze dei dati globali.[2] Nel documento in oggetto, contrariamente rispetto a ciò che fa il gruppo di ricerca su femminicidio, si preferisce il termine “uccisioni legate al genere di donne e ragazze” al termine “femminicidio”.

La ricerca “Uccisioni legate al genere di donne e ragazze (femicidio/femminicidio), Stime globali delle uccisioni di donne e ragazze legate al genere nella sfera privata nel 2021. Migliorare i dati per migliorare le risposte”, che si basa su dati provenienti da 103 paesi di tutto il mondo, è prodotta congiuntamente da UNODC e UN Women e mostra che, in media, più di cinque donne o ragazze sono state uccise ogni ora da partner intimi o altri membri della famiglia nel 2021.

Di tutte le donne e ragazze uccise intenzionalmente nel 2021, circa il 56% è stato ucciso da partner intimi o altri membri della famiglia (45.000 su 81.000), a dimostrazione del fatto che la casa non è un luogo sicuro per molte donne e ragazze. Le donne dovunque vengono uccise nella sfera privata dai loro (ex) compagni e famigliari, molto più degli uomini. Mentre, la stragrande maggioranza delle uccisioni in generale sono commesse da e contro gli uomini, solo l’11 per cento di tutti gli omicidi maschili avviene nella sfera privata.

I dati del 2021 mostrano inoltre che nell’ultimo decennio il numero complessivo di femminicidi è rimasto sostanzialmente invariato, ribadendo la causa strutturale e patriarcale del fenomeno. Anche se questi numeri sono allarmanti, la vera portata del femminicidio potrebbe essere molto più alta. Troppe vittime di femminicidio non vengono ancora conteggiate. Date le incongruenze nelle definizioni e nei criteri di collezione dei dati tra i paesi, per circa quattro donne/ragazze su dieci uccise intenzionalmente nel 2021, non ci sono informazioni sufficienti per identificarle come femminicidio, specialmente per quelle uccisioni che avvengono nella sfera pubblica (i.e. sex workers).

Per quanto riguarda le stime regionali, che assomigliano a quelle dell’anno precedente, l’Asia è di nuovo il continente che presenta il maggior numero di donne uccise in termini assoluti (17.800 donne e ragazze uccise solo nel 2021 per 100.000 abitanti femminili), mentre in Africa le donne uccise sono il numero più alto in relazione alla sua popolazione femminile (17.200 vittime). In particolare, il tasso di femminicidi legati alla famiglia è stato stimato a 2.5 per 100.000 donne in Africa, rispetto a 1.4 nelle Americhe, 1.2 in Oceania, 0.8 in Asia e 0.6 in Europa.

Il rapporto rileva inoltre che la pandemia di coronavirus del 2020 ha coinciso con un aumento del femminicidio in Nord America e in misura minore nell’Europa occidentale e meridionale. I dati provenienti da 25 paesi in Europa e nelle Americhe mostrano che l’aumento dei numeri è stato in gran parte dovuto agli omicidi compiuti da membri della famiglia diversi da coniugi e partner.[3] Mentre la pandemia da Covid-19 ha avuto impatti eterogenei nelle diverse regioni del mondo, le diminuzioni del tasso di femminicidi che sono avvenute in alcune sotto regioni, come spiega il report, potrebbero riflettere ritardi nella registrazione dovuti a Covid-19 piuttosto che riduzioni del numero di uccisioni.

I suggerimenti di questo report sono altrettanto importanti. Per cogliere l’intera dimensione di questo crimine e di districare la sua complessità è cruciale capire la dimensione del problema. La raccolta di dati sui femminicidi è un passo fondamentale per stabilire politiche e programmi volti a prevenire ed eliminare la violenza di genere.

Per rafforzare la raccolta e l’armonizzazione dei dati a livello globale, UNODC e UN Women hanno recentemente sviluppato il quadro statistico per misurare il femminicidio (Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls (also referred to as “femicide/feminicide”)[4] che fornisce una definizione comune del femminicidio e stabilisce i criteri dell’identificazione di questo crimine di genere. Tranne il criterio di relazione tra la vittima e il perpetratore (relazioni di intimità o famiglia), altri criteri sono per esempio quando la violenza sessuale è stata commessa prima dell’uccisione o quando c’è mutilazione del corpo o quando la vittima lavorava nell’industria del sesso.

Inoltre, le informazioni disponibili sulle uccisioni che coinvolgono gruppi emarginati come donne aborigeni e indigeni e persone LGBTQI+ devono migliorare, perché è chiaro che le categorie più vulnerabili sono estremamente colpite dalla violenza di genere, persone delle quali all’interno del discorso dominante non si parla.

Ci preme ricordare, però che la gestione e la prevenzione del fenomeno del femminicidio non si esaurisce alla creazione di statistiche complete ed accurate, perché le donne morte non sono solo numeri da contare. In futuro, dobbiamo capire quali sono i bisogni delle sopravvissute, sentire le loro voci e poi agire sul piano sociale. Mentre il report fa riferimento a un quadro di prevenzione (“RESPECT”)[5] che include la diminuzione della povertà, noi sottolineamo che dobbiamo sradicare le cause strutturali di questo fenomeno che sono fondamentalmente l’ineguaglianza di genere e l’ingiustizia sociale. Non vogliamo solo meno donne uccise con l’intervento di autorità efficaci ma la trasformazione delle norme sociali e l’eliminazione del patriarcato attraverso un modello sociale differente!

Athanasia Kontochristou, in collaborazione con Margherita Apone


[1] https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/briefs/Femicide_brief_Nov2022.pdf

[2]https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2021/653655/EXPO_BRI(2021)653655_EN.pdf

[3]Per “la pandemia del femminicidio intra-famigliare” successa anche in Italia nel 2020 e 2021, i dati e gli approfondimenti sono riportati sui nostri report (https://femicidiocasadonne.wordpress.com/ricerche-pubblicazioni/) .

[4] UNODC presenterà i primi risultati dell’applicazione del quadro statistico nel 2025.

[5]Relationship skills strengthened (Rafforzamento delle capacità relazionali), Empowerment of women (Empowerment delle donne), Services ensured (Servizi garantiti), Poverty reduced (Riduzione della povertà), Environments made safe (Ambienti resi sicuri), Child and adolescent abuse prevented (Prevenzione degli abusi su bambini e adolescenti), Transformed attitudes, beliefs and norms (Atteggiamenti, credenze e norme trasformati).

I diritti fondamentali non sono un’opinione. Accuse plurali all’Italia tra femminismi e Corte europea


In una settimana sono stati sette i femminicidi rimbalzati su media e social media e come al solito narrati come la conseguenza di un raptus. Come Casa delle donne sappiamo che l’escalation di una storia di violenza non solo non si ferma, ma continua a impennare le proprie curve proprio in quanto frutto di strutturalità e sistematicità della violenza maschile ed eteropatriarcale. 

Nevila e Camilla, Lidija e Jenny Gabriela, Lorena, Noelia, Gabriela e Renata, Filomena, Elisabetta, Donatella sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise nel mese di giugno: la media è un femminicidio ogni 72 ore. Gabriela e Renata, madre e figlia, sono state uccise mentre pendeva la richiesta di archiviazione per violenze e il giorno successivo ci sarebbe stata l’udienza di separazione. Elisabetta aveva avviato le pratiche di separazione dal marito. Lidia e Gabriela erano rispettivamente ex moglie ed ex compagna dell’uomo che le ha uccise. Noelia è stata uccisa per aver deciso di mettere fine alla relazione violenta. 

Come Casa delle donne sappiamo che queste sono morti annunciate, morti che purtroppo rivelano un’altra fondamentale problematica e cioè la mancanza di formazione e competenze specifiche sulla violenza di genere nelle Procure e  nei Tribunali, la scarsità di una rete di protezione sociale e giuridica e la necessità fondamentale di una prevenzione culturale più capillare. A condannare il sistema giudiziario italiano non sono solo le reti di centri antiviolenza, associazioni e gruppi femministi, ma anche la Corte di Strasburgo, per la quinta volta, con 27 pagine di istruttoria e una lunga sentenza sul caso Silvia de Giorgi. Nel 2019, Silvia che aveva più volte denunciato il marito violento e la quale, come la maggior parte delle donne che denunciano rivolgendosi alle istituzioni, non era stata creduta si era rivolta direttamente alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.  La condanna di Strasburgo si ricollega in primis all’art.3 della Convenzione dei diritti umani che, ricordiamo, punisce la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. 

Non è la prima condanna rivolta alle autorità giudiziarie e allo Stato italiano che, più volte negli ultimi anni, è stato accusato di non aver adottato misure necessarie e appropriate per tutelare le donne che subiscono violenza. 

L’Italia risultava già sotto vigilanza dal caso Talpis risalente al 2017. Nel 2018 è la volta della seconda condanna a seguito del caso di una minorenne esposta a violenza sessuale e a prostituzione forzata, aggravata delle lunghe tempistiche processuali e amministrative che non hanno tutelato la vittima collocandola in una struttura protetta come sarebbe stato giusto fare. 

Nel maggio 2021, quando la Corte d’Appello di Firenze ribalta la sentenza contro sette giovani accusati di stupro,  l’Italia attira verso sè l’ennesima condanna, questa volta per violazione della vita privata e familiare. La Corte europea, infatti, sottolinea le problematicità legate alla decisione della Corte d’Appello fiorentina: stereotipi, vittimizzazione secondaria e passaggi irrispettosi della vita privata della donna. Nell’aprile 2022 giunge la quarta condanna a seguito del caso Annalisa Landi, l’ennesima donna che aveva denunciato ma le cui denunce erano rimaste pendenti fino alla tragedia. 

Quella che viviamo è una crisi democratica legata a uno Stato patriarcale che non riesce a riconoscere e mettere in atto “best practice” in linea con le elaborazioni internazionali in materia di diritti fondamentali, perché ricordiamo i diritti delle donne sono diritti umani fondamentali.   

Tamara Roma

I dati del 2014. Le donne in Italia continuano ad essere uccise


Abbiamo anche quest’anno pubblicato i dati del femicidio in Italia del 2014. Sono in tutto 115 donne uccise che sono sono state raccolte da fonti della stampa italiana e oltre 101 tentati femicidi, sempre provenienti dai mass media. Sappiamo però che sono molte di piu.

I femicidio in Italia 2014

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Ricerche e pubblicazioni

Gruppo femicidio, Casa delle donne, Bologna

Raccolta Tesi su femminicidio/femicidio presso la Casa delle donne di Bologna!


Care studentesse,

La Casa delle donne di Bologna sta raccogliendo Tesi di laurea, di dottorato e altri elaborati, sia italiani che stranieri, che trattano il tema del femminicidio/femicidio.
Vi chiediamo di collaborare al progetto al fine di creare una piattaforma di scambio e approfondimento su un tema ancora poco studiato in Italia.
Inviateci le vostre tesi in formato pdf, e noi provvederemo a stamparle per renderle disponibili alla consultazione nella nostra biblioteca. Chiaramente ci impegnamo a non diffondere i pdf e le tesi non potranno essere fotocopiate ma solo consultate.
Inoltre, vorremmo pubblicare anche un breve abstract di ciascuna tesi sul nostro blog per far conoscere la lista degli elaborati disponibili presso la Casa delle donne.

Dateci una mano!

Contattateci alla mail:   femicidio.casadonne@gmail.com

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Parchi e giardini per ricordare le donne vittime di femminicidio


Oggi vogliamo condividere con voi l’elenco delle strade, dei parchi, dei giardini che si stanno diffondendo in tutt’Italia per ricordare le donne vittime di femminicidio. Vorremmo che sempre più persone venissero a conoscenza dell’esistenza di questi luoghi poiché vorremmo che diventassero non solo luoghi della memoria, ma anche un punto focale per l’attivismo delle donne contro la violenza maschilista ed un punto di partenza per iniziative pubbliche volte ad accrescere la consapevolezza di tutti sulla violenza contro le donne in Italia e nel mondo.

  • Bari
  • Potenza
  • Roma
  • Torino
  • Corigliano Calabro
  • Genova
  • Vittoria
  • Bologna (Zola Predosa)

BARI, Ceglie del Campo. Giardino vittime del femminicidio, incrocio tra via Di Venere, via San Giuseppe Marello e via Municipio. Il parco ricorda in particolare Chiara Brandonisio uccisa a Ceglie del Campo nel 2010.

Sempre a Bari (Palese-Macchie) verrà intestata una strada a “Santa Scorese, Vittima del femminicidio 1968-1991”.

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Indagine sui femidici in Italia. Anno 2013


8ª INDAGINE SUI FEMICIDI IN ITALIA REALIZZATA SUI DATI DELLA STAMPA NAZIONALE E LOCALE. ANNO 2013

In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, la Casa delle donne di Bologna, rende pubblica l’8ª indagine sul femicidio in Italia, condotta per l’anno 2013, da un gruppo di volontarie mediante l’esame della stampa nazionale e locale.

Abbiamo iniziato a condurre queste indagini sin dal 2005, per colmare il vuoto di conoscenza sul fenomeno dei femicidi esistente nel nostro paese, che permane a tutt’oggi, seppure moltissime siano state quest’anno le iniziative intorno al tema femminicidio in Italia.

L’indagine del fenomeno infatti, in mancanza di statistiche e di raccolta dei dati nelle sedi ufficiali, resta per lo più un’iniziativa della società civile, come dimostra l’importante contributo di una Graphic Designer genovese, Sara Porco, che con le Girl Geek Dinners di Milano, che ha creato il sito “Stop al Femminicidio” e l’applicazione “La mappa dei Femicidi“, dove sono accessibili i nostri dati a partire dal 2005.

Anche con l’indagine 2013 intendiamo mettere in rilievo il legame tra femicidio e violenza di genere, di cui il primo rappresenta la forma estrema e sicuramente più visibile, e quanto il contrastare l’uno e l’altra richieda di mettere in campo politiche strutturali ed efficaci sia per la protezione delle singole vittime, che per il cambiamento della cultura patriarcale che li sostiene ed alimenta.

L’anno 2013 segna un incremento del dato rispetto agli anni precedenti, con 134 donne uccise.

La media annuale per i 9 anni in cui abbiamo condotto le indagini, segna 116 casi per anno.

Anche nel 2013 abbiamo rilevato il dato delle donne prostitute o prostituite uccise (13 in numero assoluto), ritenendo che il femicidio come estrema forma di violenza di genere comprenda le uccisioni per mano maschile di donne che esercitano, volontariamente o in maniera coatta, l’attività di prostituzione.

Come nell’indagine 2012 dedichiamo un approfondimento ai tentati femicidi da cui emerge un dato assoluto di 83 casi.

Esso va ritenuto totalmente sottostimato perché la stampa non riporta tutti i casi realmente accaduti e per avere la reale dimensione del fenomeno sarebbe necessario avere a disposizione i dati provenienti dalle Questure. L’elevato numero di casi di violenza gravissima ci porta a considerare quanto la violenza maschile contro le donne sia diffusa, e pericolosa per la vita delle donne, posto che come i Centri antiviolenza hanno da sempre denunciato, affermando nessun atto violento ai danni delle donne possa essere tollerato, la violenza tende ad aumentare di frequenza e di quantità, e può portare alla morte.

Nel 2013 restano confermati i dati dei femicidi risultanti dalle indagini degli anni precedenti: i femicidi riguardano per lo più donne italiane (70%), sono commessi da uomini italiani (70%), interessano tutte le fasce di età pur se si riporta quest’anno una incidenza maggiore nella fascia di età tra i 36 e i 45 anni, mentre l’anno scorso si registrava nella fascia 46-60.Essi trovano origine nella relazione di genere, posto che nel 58% dei casi l’autore è stato il partner attuale o ex della donna.

Testimoni Silenziose

Gli elementi di differenziazione rispetto alle risultanze delle indagini degli anni precedenti riguardano la distribuzione territoriale dei casi di femicidio, dato che dall’indagine 2013 la loro incidenza cala al Nord e aumenta al Sud e al Centro.

In Emilia-Romagna in particolare i casi diminuiscono della metà in valore assoluto (da 15 del 2012 a 8).

E’ un dato importante, che necessita sicuramente di ulteriori approfondimenti, esso innanzitutto dovrebbe messo essere in relazione con l’andamento complessivo della violenza contro le donne nella nostra regione. Esso ci porta ad affermare con forza l’esigenza di analisi costanti e basate su dati ufficiali, del fenomeno del femicidio e della violenza contro le donne, per comprendere in che modo questi fenomeni si modifichino e quanto questo cambiamento si leghi alle trasformazioni in corso nei rapporti sociali e nella crisi. Premesse necessarie per mettere in campo politiche efficaci di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne.

Il report Indagine sui femicidi in Italia realizzata sulla stampa nazionale e locale: anno 2013 è disponibile a testo pieno pdf.

Fai clic per accedere a ricerca-femicidi-dati_2013.pdf

 

 

1 Billion Rising for Justice


Grazie a noi, il 14 febbraio sta diventando un’altra cosa. Non più solo il giorno degli innamorati, ma la giornata che celebra un amore differente, più consapevole, senza segni di violenza.

– Eve Ensler

Una donna su tre è destinata a subire violenza nel corso della sua vita. Ogni anno un miliardo di donne ballano per spezzare questa catena. L’anno scorso un miliardo di donne in 207 paesi del mondo ha ballato contro la violenza maschile. Quest’anno balleremo anche per chiedere giustizia.

Infatti, come ha dichiarato Eve Ensler, l’ideatrice del flash mob: “Quest’anno l’idea forte è andare oltre la sottolineatura della violenza contro le donne, perchè siamo consapevoli che dietro la violenza di genere esiste una rete complessa di complicità, di corruzione e persino di degrado ambientale” e quindi “senza affrontare il tema dell’ingiustizia la battaglia contro la violenza non può essere vinta”.

La giustizia può e deve assumere tante forme che comprendono, ma vanno anche oltre, l’azione penale e la condanna degli autori delle violenze. La giustizia deve assumere la forma di una spinta al cambiamento verso la fine di tutte le forme di violenza, discriminazione e patriarcato.

1 billion logo bologna

A Bologna la Casa delle Donne è in prima linea nell’organizzazione e promozione del flash mob. Anna Pramstrahler ha dichiarato infatti che l’iniziativa è una “possibilità di portare in piazza forme di protesta e di visibilità delle donne contro la violenza“. E’ proprio quello di dare visibilità ad un fenomeno che tipicamente rimane chiuso nella sfera del privato e del domestico uno degli scopi della manifestazione di oggi. Il fatto poi di ballare e reclamare attivamente giustizia si contrappone a tutte quelle immagini di donne-vittime che troppo spesso ci vengono riproposte quando si parla di lotta alla violenza.

Il programma a Bologna:

  • Ore  17.30 Flash Mob in Piazza Nettuno
  • Ore 18.00 Parata: via Rizzoli, via Zamboni, via delle Moline, via Indipendenza fino al Parco della Montagnola
  • Ore 19.30 Flash Mob e festa con musica presso la Tenda del Parco della Montagnola. Ingresso a offerta libera a sostegno della Casa dell Donne di Bologna

liberiamoci ribelliamoci scateniamoci

Informazioni utili

  • Per maggiori informazioni sulla giornata di oggi visitate la pagina Facebook del 1 Billion Rising a Bologna (qui)
  • Se non sapete come prepararvi, ecco un video su come realizzare con poco materiale e in velocità pettorine e fasce per il flash mob (qui)
  • Intervista a Eve Ensler sull’Huffington post (qui)
  • Trovate un sacco di notizie e informazioni utili anche sulla pagina Facebook della Casa delle Donne di Bologna (qui)
  • Pagina ufficiale del 1 Billion Rising (qui)
  • Articolo su 24Emilia.com / partecipazione del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia Romagna (qui)

Storia dei 16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere


Aspettando l’8 marzo con questo post ci guardiamo alle spalle e vi raccontiamo la storia dei 16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere.

Nel 1991 il Centro per la leadership globale delle donne (Center for Women’s Global Leadership) diede vita al primo Women’s Global Leadership Institute (WGLI) al quale parteciparono 23 donne provenienti da diversi Paesi e realtà rilevanti accomunate dalla volontà di contribuire a costruire un movimento globale per i diritti umani delle donne.

Nel corso del WGLI le partecipanti presero in considerazione diversi aspetti della violenza di genere e dei diritti umani ed ebbero modo di confrontare le rispettive esperienze sviluppando strategie per:

  • accrescere a livello internazionale il riconoscimento della natura sistemica della violenza contro le donne,
  • mostrare la violenza di genere come violazione dei diritti umani delle donne.

Per raggiungere questi obiettivi le partecipanti al WGLI decisero di mettere in campo la campagna “16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere”. Come periodo per lo svolgimento della campagna, si decise di collegare la data del 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne) a quella del 10 dicembre (Giornata mondiale per i diritti umani) al fine di ribadire che i diritti delle donne sono diritti umani e che la violenza di genere costituisce una violazione di tali diritti.

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Un elemento fondamentale della prima campagna dei 16 Giorni di Attivismo fu il lancio a livello mondiale di una petizione indirizzata alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani del 1993. La petizione esortava il Comitato di preparazione della conferenza a occuparsi in maniera esaustiva dei diritti umani delle donne e a riconoscere che la violenza di genere è una questione che rientra nel campo dei diritti umani.

In un momento in un cui l’uso di e-mail e internet non era ancora diffuso, la petizione raggiunse 124 paesi e fu tradotta in 23 lingue.

Da allora la campagna dei 16 Giorni di Attivismo è stata utilizzata da moltissime associazioni in tutto il mondo come strategia organizzativa per rivendicare l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne. Dal 1991 ben 5167 organizzazioni in 187 Paesi hanno partecipato alla campagna e nel 2013 anche la Casa delle donne di Bologna ha segnalato il Festival La violenza illustrata – Giustizia Violata sul calendario mondiale della campagna dei 16 Giorni di Attivismo.

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Tradotto e riadattato da:

Sito ufficiale della campagna 16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere http://16dayscwgl.rutgers.edu/about/activist-origins-of-the-campaign http://16dayscwgl.rutgers.edu/about/campaign-profile