Più si parla di femminicidi, meglio è!


La copertura mediatica dei femminicidi aumenta la propensione a chiamare una linea
di assistenza antiviolenza oppure aumenta il timore di ritorsioni da parte dell’uomo
violento?
Secondo le studiose e gli studiosi Marco Colagrossi, Claudio Deiana, Davide
Dragone, Andrea Geraci, Ludovica Giua ed Elisa Iori, e la loro ricerca intitolata:
Intimate partner violence and help-seeking: The role of femicide news (Violenza dei
partner e ricerca di aiuto: il ruolo dell’informazione sui femminicidi), pubblicata
recentemente, la copertura mediatica è un canale importante per combattere la
violenza contro le donne.
Secondo il loro studio, dopo la notizia di un femminicidio le chiamate alla linea
telefonica di assistenza (1522) aumentano dell’11% e le denunce di polizia aumentano
del 6%. 1 L’effetto, dovuto, ad esempio, all’empatia o identificazione con la vittima,
sembra essere di breve durata e geograficamente localizzato, siccome si verifica in
provincia e nella settimana successiva a quando è avvenuto il femminicidio. Tuttavia,
questo effetto virtuoso svanisce rapidamente: dopo una settimana il numero delle
chiamate torna alla normalità e dopo un mese altrettanto fa il numero delle denunce.
In più, lo studio dimostra anche che le chiamate aumentano di più quando la vittima è
giovane e senza figli. Inoltre, più il femminicidio è brutale più suscita interesse e
curiosità e la copertura delle notizie è maggiore (per esempio come il crudele
femminicidio della studentessa Giulia Cecchettin).
La ricerca in oggetto ha combinato diverse fonti che si riferiscono al periodo 2015-
2019 in Italia. Le cinque fonti combinate sono le informazioni su i femminicidi
(raccolti dal set di dati della Casa delle Donne per non subire violenza di Bolgona),
le chiamate al numero di emergenza 1522, le segnalazioni in polizia di abusi
domestici e maltrattamenti, le ricerche su Google dei nomi delle vittime di
femminicidi e la copertura giornalistica su violenza contro le donne.
Emerge che, in media, ogni giorno solo l’1.6% delle notizie tratta argomenti legati
alla violenza di genere. Lo studio ribadisce l’importanza di aumentare la
consapevolezza e fornire informazioni, campagne di informazione continuative e
ricorrenti, e discussioni pubbliche per favorire la ricerca di aiuto.

1. Chiamare il numero di assistenza può essere un metodo più sicuro ed efficace per sfuggire alla
violenza, come rifugio e sostegno. Le misure possono essere immediatamente attivate mentre la
privacy della sopravvissuta è protetta. Quando la violenza viene denunciata alla polizia, d’altro canto,
l’aggressore viene informato e ciò può aumentare il rischio di ritorsioni nei confronti della vittima.
Circa una vittima su tre che chiama la linea di assistenza non si presenta alla polizia né fa la denuncia
per paura dell’aggressore, per non avere un posto sicuro dove andare o perché la polizia consiglia di
non denunciare (ISTAT, 2021). Il riconoscimento della violenza e le chiamate alla linea telefonica di
assistenza o alle associazioni delle donne puó essere il primo passo per porre fine alla violenza di
genere.

Le conclusioni dello studio sull’importanza della visibilità mediatica della violenza
contro le donne coincidono con altre ricerche (Levy e Mattsson, 2020, Gauthier,
2022) che mostrano, per esempio, l’effetto del movimento #MeToo sulla denuncia di
crimini sessuali. Si stima un aumento del 10% delle denunce di crimini sessuali su un
ampio campione di paesi OCSE e che il #MeToo rappresenti la causa del circa 25%
dell’aumento delle segnalazioni di crimini sessuali nel periodo 2017-2019.
La forza del #MeToo sta nella sua dimensione politica e sociale, quindi, non solo
dobbiamo avere più notizie e campagne contro il femminicidio e la violenza di
genere, ma anche cercare di capire meglio il fenomeno e incoraggiare una riflessione
su come eridicarlo una volta per tutte. Dobbiamo fare ricerche qualitative per
analizzare perché, per esempio, un femminicidio-omicidio non suscita interesse e
quindi non genera un aumento delle chiamate ai Centri antiviolenza presenti sul
territorio.
Da parte nostra, ci sembra importante ribadire che non tutte le volte che un
femminicidio balza agli onori della cronaca sia anche trattato nel modo giusto e
rispettoso per le donne uccise. Sottolineiamo l’importanza di un’altra cultura
mediatica, non solo che “più notizie ci sono, meglio è”.

2. Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Athanasia Kontochristou

I dati mondiali del femminicidio nel 2021 tramite il nuovo rapporto UNODC e UN Women. 45.000 donne uccise, una strage preannunciata.


Presentiamo, come abbiamo fatto anche l’anno scorso, la sintesi di un report internazionale delll’UNODC (Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine)[1] che è considerata la più affidabile fonte in termini di dati numerici e quantitativi sul femminicidio, malgrado le mancanze dei dati globali.[2] Nel documento in oggetto, contrariamente rispetto a ciò che fa il gruppo di ricerca su femminicidio, si preferisce il termine “uccisioni legate al genere di donne e ragazze” al termine “femminicidio”.

La ricerca “Uccisioni legate al genere di donne e ragazze (femicidio/femminicidio), Stime globali delle uccisioni di donne e ragazze legate al genere nella sfera privata nel 2021. Migliorare i dati per migliorare le risposte”, che si basa su dati provenienti da 103 paesi di tutto il mondo, è prodotta congiuntamente da UNODC e UN Women e mostra che, in media, più di cinque donne o ragazze sono state uccise ogni ora da partner intimi o altri membri della famiglia nel 2021.

Di tutte le donne e ragazze uccise intenzionalmente nel 2021, circa il 56% è stato ucciso da partner intimi o altri membri della famiglia (45.000 su 81.000), a dimostrazione del fatto che la casa non è un luogo sicuro per molte donne e ragazze. Le donne dovunque vengono uccise nella sfera privata dai loro (ex) compagni e famigliari, molto più degli uomini. Mentre, la stragrande maggioranza delle uccisioni in generale sono commesse da e contro gli uomini, solo l’11 per cento di tutti gli omicidi maschili avviene nella sfera privata.

I dati del 2021 mostrano inoltre che nell’ultimo decennio il numero complessivo di femminicidi è rimasto sostanzialmente invariato, ribadendo la causa strutturale e patriarcale del fenomeno. Anche se questi numeri sono allarmanti, la vera portata del femminicidio potrebbe essere molto più alta. Troppe vittime di femminicidio non vengono ancora conteggiate. Date le incongruenze nelle definizioni e nei criteri di collezione dei dati tra i paesi, per circa quattro donne/ragazze su dieci uccise intenzionalmente nel 2021, non ci sono informazioni sufficienti per identificarle come femminicidio, specialmente per quelle uccisioni che avvengono nella sfera pubblica (i.e. sex workers).

Per quanto riguarda le stime regionali, che assomigliano a quelle dell’anno precedente, l’Asia è di nuovo il continente che presenta il maggior numero di donne uccise in termini assoluti (17.800 donne e ragazze uccise solo nel 2021 per 100.000 abitanti femminili), mentre in Africa le donne uccise sono il numero più alto in relazione alla sua popolazione femminile (17.200 vittime). In particolare, il tasso di femminicidi legati alla famiglia è stato stimato a 2.5 per 100.000 donne in Africa, rispetto a 1.4 nelle Americhe, 1.2 in Oceania, 0.8 in Asia e 0.6 in Europa.

Il rapporto rileva inoltre che la pandemia di coronavirus del 2020 ha coinciso con un aumento del femminicidio in Nord America e in misura minore nell’Europa occidentale e meridionale. I dati provenienti da 25 paesi in Europa e nelle Americhe mostrano che l’aumento dei numeri è stato in gran parte dovuto agli omicidi compiuti da membri della famiglia diversi da coniugi e partner.[3] Mentre la pandemia da Covid-19 ha avuto impatti eterogenei nelle diverse regioni del mondo, le diminuzioni del tasso di femminicidi che sono avvenute in alcune sotto regioni, come spiega il report, potrebbero riflettere ritardi nella registrazione dovuti a Covid-19 piuttosto che riduzioni del numero di uccisioni.

I suggerimenti di questo report sono altrettanto importanti. Per cogliere l’intera dimensione di questo crimine e di districare la sua complessità è cruciale capire la dimensione del problema. La raccolta di dati sui femminicidi è un passo fondamentale per stabilire politiche e programmi volti a prevenire ed eliminare la violenza di genere.

Per rafforzare la raccolta e l’armonizzazione dei dati a livello globale, UNODC e UN Women hanno recentemente sviluppato il quadro statistico per misurare il femminicidio (Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls (also referred to as “femicide/feminicide”)[4] che fornisce una definizione comune del femminicidio e stabilisce i criteri dell’identificazione di questo crimine di genere. Tranne il criterio di relazione tra la vittima e il perpetratore (relazioni di intimità o famiglia), altri criteri sono per esempio quando la violenza sessuale è stata commessa prima dell’uccisione o quando c’è mutilazione del corpo o quando la vittima lavorava nell’industria del sesso.

Inoltre, le informazioni disponibili sulle uccisioni che coinvolgono gruppi emarginati come donne aborigeni e indigeni e persone LGBTQI+ devono migliorare, perché è chiaro che le categorie più vulnerabili sono estremamente colpite dalla violenza di genere, persone delle quali all’interno del discorso dominante non si parla.

Ci preme ricordare, però che la gestione e la prevenzione del fenomeno del femminicidio non si esaurisce alla creazione di statistiche complete ed accurate, perché le donne morte non sono solo numeri da contare. In futuro, dobbiamo capire quali sono i bisogni delle sopravvissute, sentire le loro voci e poi agire sul piano sociale. Mentre il report fa riferimento a un quadro di prevenzione (“RESPECT”)[5] che include la diminuzione della povertà, noi sottolineamo che dobbiamo sradicare le cause strutturali di questo fenomeno che sono fondamentalmente l’ineguaglianza di genere e l’ingiustizia sociale. Non vogliamo solo meno donne uccise con l’intervento di autorità efficaci ma la trasformazione delle norme sociali e l’eliminazione del patriarcato attraverso un modello sociale differente!

Athanasia Kontochristou, in collaborazione con Margherita Apone


[1] https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/briefs/Femicide_brief_Nov2022.pdf

[2]https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2021/653655/EXPO_BRI(2021)653655_EN.pdf

[3]Per “la pandemia del femminicidio intra-famigliare” successa anche in Italia nel 2020 e 2021, i dati e gli approfondimenti sono riportati sui nostri report (https://femicidiocasadonne.wordpress.com/ricerche-pubblicazioni/) .

[4] UNODC presenterà i primi risultati dell’applicazione del quadro statistico nel 2025.

[5]Relationship skills strengthened (Rafforzamento delle capacità relazionali), Empowerment of women (Empowerment delle donne), Services ensured (Servizi garantiti), Poverty reduced (Riduzione della povertà), Environments made safe (Ambienti resi sicuri), Child and adolescent abuse prevented (Prevenzione degli abusi su bambini e adolescenti), Transformed attitudes, beliefs and norms (Atteggiamenti, credenze e norme trasformati).

I diritti fondamentali non sono un’opinione. Accuse plurali all’Italia tra femminismi e Corte europea


In una settimana sono stati sette i femminicidi rimbalzati su media e social media e come al solito narrati come la conseguenza di un raptus. Come Casa delle donne sappiamo che l’escalation di una storia di violenza non solo non si ferma, ma continua a impennare le proprie curve proprio in quanto frutto di strutturalità e sistematicità della violenza maschile ed eteropatriarcale. 

Nevila e Camilla, Lidija e Jenny Gabriela, Lorena, Noelia, Gabriela e Renata, Filomena, Elisabetta, Donatella sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise nel mese di giugno: la media è un femminicidio ogni 72 ore. Gabriela e Renata, madre e figlia, sono state uccise mentre pendeva la richiesta di archiviazione per violenze e il giorno successivo ci sarebbe stata l’udienza di separazione. Elisabetta aveva avviato le pratiche di separazione dal marito. Lidia e Gabriela erano rispettivamente ex moglie ed ex compagna dell’uomo che le ha uccise. Noelia è stata uccisa per aver deciso di mettere fine alla relazione violenta. 

Come Casa delle donne sappiamo che queste sono morti annunciate, morti che purtroppo rivelano un’altra fondamentale problematica e cioè la mancanza di formazione e competenze specifiche sulla violenza di genere nelle Procure e  nei Tribunali, la scarsità di una rete di protezione sociale e giuridica e la necessità fondamentale di una prevenzione culturale più capillare. A condannare il sistema giudiziario italiano non sono solo le reti di centri antiviolenza, associazioni e gruppi femministi, ma anche la Corte di Strasburgo, per la quinta volta, con 27 pagine di istruttoria e una lunga sentenza sul caso Silvia de Giorgi. Nel 2019, Silvia che aveva più volte denunciato il marito violento e la quale, come la maggior parte delle donne che denunciano rivolgendosi alle istituzioni, non era stata creduta si era rivolta direttamente alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.  La condanna di Strasburgo si ricollega in primis all’art.3 della Convenzione dei diritti umani che, ricordiamo, punisce la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. 

Non è la prima condanna rivolta alle autorità giudiziarie e allo Stato italiano che, più volte negli ultimi anni, è stato accusato di non aver adottato misure necessarie e appropriate per tutelare le donne che subiscono violenza. 

L’Italia risultava già sotto vigilanza dal caso Talpis risalente al 2017. Nel 2018 è la volta della seconda condanna a seguito del caso di una minorenne esposta a violenza sessuale e a prostituzione forzata, aggravata delle lunghe tempistiche processuali e amministrative che non hanno tutelato la vittima collocandola in una struttura protetta come sarebbe stato giusto fare. 

Nel maggio 2021, quando la Corte d’Appello di Firenze ribalta la sentenza contro sette giovani accusati di stupro,  l’Italia attira verso sè l’ennesima condanna, questa volta per violazione della vita privata e familiare. La Corte europea, infatti, sottolinea le problematicità legate alla decisione della Corte d’Appello fiorentina: stereotipi, vittimizzazione secondaria e passaggi irrispettosi della vita privata della donna. Nell’aprile 2022 giunge la quarta condanna a seguito del caso Annalisa Landi, l’ennesima donna che aveva denunciato ma le cui denunce erano rimaste pendenti fino alla tragedia. 

Quella che viviamo è una crisi democratica legata a uno Stato patriarcale che non riesce a riconoscere e mettere in atto “best practice” in linea con le elaborazioni internazionali in materia di diritti fondamentali, perché ricordiamo i diritti delle donne sono diritti umani fondamentali.   

Tamara Roma

Bambini nella Tempesta, di Teresa Bruno


Un libro guida per il trauma della violenza assistita e del femminicidio sui minori.

BAMBINI NELLA TEMPESTA

Il libro di Teresa Bruno Bambini nella tempesta : gli orfani di femminicidio, Paoline, 2022 non è solo un’opera importante per gli orfani di femminicidio ma anche una proposta concreta per il loro sostegno attraverso un ad hoc approccio multifattoriale. La scrittrice, attraverso la sua esperienza come psicologa psicoterapeuta e presidente del Centro antiviolenza Artemisia di Firenze (2014-2021), illumina le caratteristiche della violenza domestica e la violenza assistita, un fenomeno nascosto per anni e solo recentemente apparso in luce. Gli studi, le testimonianze, le storie, le tragiche sofferenze delle/i bambine/i di donne maltrattate, le buone prassi d’intervento, diventano una guida per affrontare “la tempesta” della violenza, specialmente sui minori.

La violenza assistita è ritenuta una violenza diretta sul minorenne, con effetti negativi sul funzionamento emotivo, comportamentale, cognitivo, sociale e fisico dei/delle bambini/e. Tramite l’esperienza del centro Artemisia e le testimonianze dei casi nel libro c’è un approfondimento del ambiente traumatico. Vari studi dimostrano che la violenza assistita e l’esposizione precoce alla violenza è uno dei maggiori predittori di rischio di violenza in età adulta come vittima o come aggressore. Per non parlare degli esempi tragici del padre che usa o uccide i figli per vendicarsi della madre. 

Inoltre, da tutte le ricerche italiane menzionate nel libro (i.e. della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul femminicidio), e le Indagini di revisione (Domestic Fatality Review) di altri paesi si vede la stretta correlazione tra femminicidio e violenza domestica. Nella magior parte dei casi si registra un incrementο della violenza che porta al femminicidio. Se la violenza domestica è la base dell’iceberg, il femminicidio è il suo punto. Quasi “nessun omicidio è avvenuto senza seganli di preavviso” all’interno della coppia. Inoltre, i dati statistici mostranto che nonostante il calo sugli omicidi alla criminalita organizzata, le vittime in “contesti relazionali” aumentano negli anni.  

Il femminicidio è un evento traumatico non soltanto in sè, ma anche per tutte le persone che restano dietro. L’impatto sulle “vittime più indifese” che sono i figli e le figle, quando perdono le madri per mano dei padri, è enorme, “è quello di una tempesta”. Ricordando il lavoro di Anna Costanza Baldry e la ricerca all’interno del progetto Switch-off ma anche ricerche piu recenti come quelle di Daniela Lanini a livello regionale di Toscana, la scrittrice riafferma che gli omicidi di donne madri da parte di partner o ex partner hanno consegunenze tragiche sugli “orfani speciali”. Il trauma legato al femminicidio sulle “vittime invisibili” deve essere affrontato con mirati interventi da professionisti di una formazione specifica sul trauma.  

Se la legge n. 4 del 2018, tutela gli orfani a causa di crimini domestici,  è una conquista a livello legale, deve essere anche applicata con concrete prassi di intervento e un approccio multiprofessionale articolato e coerente. Un osservatorio nazionale sul femminicidio e sugli “orfani speciali” sarebbe utile per questo scopo, anche perché la mancanza dei dati per quanto riguarda gli “orfani speciali” a livello sia nazionale che regionale è allarmante. Il contributo di ricerche sporadiche e il lavoro volontario del gruppo femicidio della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna di registrare i/le bambini/e di sicuro non bastano. Il progetto Orphan of Femicide Invisible Victim, a cui fa parte anche la Casa delle Donne di Bologna, è un buon progetto, però il contesto problematico che avvogle le “vittime vive” del femminicidio non aiuta la sua applicazione.

Come evidenziato nel libro, mentre le narrazioni dei media occultano il problema strutturale della violenza sulle donne, le mancanze di specifiche politiche d’intervento, le mancanze del sistema sociosanitario, le negligenze istituzionali e professionali e la mancanza di comunicazione tra la parte penale e la parte civile di tutela del minore fanno sì che gli interventi arrivino troppo tardi o sono proprio unitili: ricordiamoci il caso di Federico Barakat ucciso durante l’incontro “protetto” con il padre, anche se la madre aveva segnalato la pericolosità dell’uomo e anche se il bambino non voleva vederlo. Intanto, gli stereotipi del sistema giudiziario che colpevolizzano la donna è una forma di violenza istituzionale, corresponsabile del continuum della violenza. “Le vittime non sono soltanto vittime di un marito che le ha uccise, bensi anche di un sistema che non è abbastanza protettivo”.

Secondo la Convenzione di Istanbul, la prevenzione deve andare passo a passo con la  protezione delle donne e dei figli, il perseguimento del colpevole e l’applicazione di politiche integrate per il supporto delle vittime. Il modello ecologico, promosso nei rapport dell’Organizzazzione Mondiale della Sanità, può essere utile per analizzare la correlazione dei fattori individuali, relazionali, sociali, culturali e ambientali sull’emersione della violenza.

Ci sono tantissimi dati, modelli e proposte interessanti a questo libro sintetico che approfondisce a questo complesso argomento tramite i suoi quattro capitoli (caratteristiche di un fenomeno, l’esposizione alla violenza, Il trauma e interventi e linee guida). Speriamo che dopo questo libro, nessun altro bambino dice “dove eravate quando avevo bisogni di voi?”come ha referito un adolescente al centro antiviolenza Artemisia.  Speriamo piuttosto che cambi la mentalità patriarcale e il sistema che crea ad un punto padri maltrattanti e dall’altro vittime.

Athanasia Kontochristou 

Presentazione dell’Atlante dei femminicidi


Giovedì 9 dicembre 2021, nell’ambito della XVI edizione del Festival La Violenza Illustrata verrà presentato il progetto dell’Atlante dei femminicidi. Un progetto finalizzato alla conoscenza, lo studio e la comunicazione del fenomeno del femminicidio in Italia.

Il progetto è finanziato dalla Regione Emilia Romagna attraverso il Bando D. G. R. n. 673/2021, cofinanziato dal Comune di Bologna, dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, dalla Cooperativa Stellaria e dallo Studio Atlantis.

Verrà coinvolto l’Osservatorio regionale sulla violenza di genere per approfondimenti sui casi della Regione Emilia-Romagna e nell’attività di disseminazione del progetto, verrà inoltre consultato per un confronto costante sullo svolgimento delle attività.

I partner del progetto sono Città Metropolitana di Bologna, il Coordinamento dei Centri
Antiviolenza dell’Emilia Romagna, l‘Istituto Storico Parri, la Rete D.i.Re, in qualità di
patrocinio gratuito.

Report mondiale sull’uccisione di donne e bambine per motivi legati al genere


Il recente studio “Gender related killing of women and girls” pubblicato dalla Sezione Anti Droga e Crimini delle Nazioni Unite (UNDOC), fornisce un’analisi profonda di quelli che sono gli omicidi ai danni delle donne perpetrati all’interno della sfera familiare esaminando anche le forme di omicidio legate al genere al di fuori della sfera domestica come ad esempio in caso di conflitto armato o di morte di una operatrice del sesso. Lo studio ha come base l’analisi dei dati relativi agli omicidi commessi nei vari sistemi nazionali, omicidi per i quali la relazione fra vittima, aggressore e movente è data.

gloabl studies

La sezione speciale delle Nazioni Unite si è però trovata di fronte ad un grande ostacolo, che noi della Casa delle donne per non subire violenza conosciamo ormai bene, quello della reperibilità dei dati soprattutto in materia di infanticidio femminile e uccisione delle donne aborigene e/o indigene in alcune aree del globo dovuta in gran parte alla mancanza di una definizione standardizzata del termine femicidio.  

Il concetto di femicidio o di gender-related killing of women richiede uno sforzo nel comprendere cosa esattamente si intenda per “atti criminali con movente di genere”, ci sono numerose scuole di pensiero a riguardo. È pertanto necessario ribadire che non tutti gli omicidi di donne hanno come movente il genere e di conseguenza non tutti gli omicidi di donne possono essere etichettati come femicidi. Di solito, con il termine femicidio, si fa riferimento a quegli omicidi di donne commessi da una persona interna alla sfera familiare o domestica. Nonostante la mancanza di una definizione definitiva e inclusiva del femicidio, ciò che si può notare è l’esistenza di una varietà di concettualizzazioni derivanti da approcci legali e sociologici differenti che però delineano una serie di elementi che contribuiscono ad etichettare un determinato crimine come femcidio. Nella maggior parte dei casi il crimine viene commesso dal (ex)partner della vittima e l’omicidio viene identificato con la sigla IPH/F (Intimate Partner Homicide/Femicide). Nonostante gli uomini siano le principali vittime di omicidio a livello globale, le donne continuano a portare il peso di una vittimizzazione letale frutto degli stereotipi e delle disuguaglianze di genere che permeano le nostre società.

Nel 2017, 87.000 donne sono state intenzionalmente uccise. Di queste, il 58% è stato ucciso da un (ex)partner o da un membro della famiglia (padre, fratello, figlio, nonno o zio). Questo dato dimostra come, in media, 137 donne vengano uccise ogni giorno su scala mondiale.

Alcuni dati in sintesi Numero donne uccise
Femicidi nel mondo nell’ anno 2017 87.000
Donne uccise al giorno su scala mondiale 137
2/3 delle donne uccise in Africa sono state uccise da parte di partner (ex) 19.000
1/3 delle donne uccise in Europa è stata uccisa da parte di partner (ex) 2.666

Sempre in riferimento ai dati relativi all’anno 2017, il più alto numero di donne uccise si è avuto in Asia (20.000), seguita da Africa (19.000), America (8.000), Europa (3.000) e Oceania (300). Per quanto riguarda invece i dati relativi al numero di donne uccise da IP (Intimate Partner) nel 2017 il più alto numero di uccisioni è stato riscontrato in Africa con una media di 1.7 ogni 100.000 donne. Ciò sta a significare che più di 2/3 di tutte le donne africane nel 2017 sono state uccise da IP o membri interni alla sfera familiare; la situazione europea non sembra essere più rassicurante: circa 1/3 delle donne europee è stata ammazzata da un IP.

Di tutti gli omicidi (uomini e donne) verificatisi in Europa nel 2017, il 43% risulta essere stato operato ai danni delle donne e di questo ammontare circa il 29% è stato ucciso da un Intimate Partner. In Italia, nel 2017, la media si aggira intorno a 0.5 ogni 100.000 donne di cui il 90% uccisa per mano di un familiare o (ex)partner, con un aumento del 50% rispetto al 2016.

Ciò che la ricerca dimostra in maniera chiara e precisa, nonostante la mancanza di dati standardizzati e di definizioni inclusive, è che gli omicidi di donne e ragazze ad opera dei loro IP non sono il risultato di un raptus incontrollabile o imprevedibile ma sono il frutto di una cultura patriarcale e sessista che punisce le donne che ad essa non si conformano. Studiare il fenomeno è sì necessario ma di vitale importanza, ad oggi, risulta essere l’analisi di tutti quei meccanismi che portano a tali crimini in modo tale da poter, in un futuro prossimo, provare a prevenire l’atto ancora prima che questo venga compiuto.

L’intero studio è fruibile visitando

https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/GSH2018/GSH18_Gender-related_killing_of_women_and_girls.pdf

di Antonella Crichigno

I dati del 2014. Le donne in Italia continuano ad essere uccise


Abbiamo anche quest’anno pubblicato i dati del femicidio in Italia del 2014. Sono in tutto 115 donne uccise che sono sono state raccolte da fonti della stampa italiana e oltre 101 tentati femicidi, sempre provenienti dai mass media. Sappiamo però che sono molte di piu.

I femicidio in Italia 2014

scheda-femicidio_2014

Ricerche e pubblicazioni

Gruppo femicidio, Casa delle donne, Bologna

Fatal love: l’importanza della raccolta dei dati sui femicidi


Fatal love, un interessante articolo scritto dalla ricercatrice Adrien Howe della Griffith University in Australia pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Griffith Journal of Law and Human Dignity, ci parla dell’importanza della raccolta e dell’analisi dei dati sui femicidi, al fine di fare informazione sulla violenza contro le donne.

In particolare Howe promuove il lavoro svolto nel Regno Unito da una nuova corrente di ricercatrici ed attiviste anti-violenza, che forniscono e divulgano in maniera innovativa attraverso i propri blog il numero di donne uccise ogni anno in quel paese. L’analisi delle statistiche permette di comprendere quali sono gli elementi che si ripetono in questi delitti e dare loro un nome, ad iniziare dalla relazione tra la vittima ed il carnefice, ove si palesa una forte asimmetria di genere.

Con il progetto “Counting Dead Women”, Karen Ingala Smith, amministratrice delegata di NIA, associazione londinese che si occupa di proteggere donne e minori vittime di violenza, stila nel suo blog l’elenco delle donne uccise dal 2012 ad oggi, a partire dalla stampa, spesso locale – giacchè alcuni femicidi non arrivano alle testate nazionali. Si tratta di 112 donne nel 2012, 140 donne nel 2013 e 76 da gennaio a giugno 2014. Risulta che, nel periodo compreso tra gennaio 2012 e gennaio 2014, i tre quarti di esse sono state assassinate da partner o ex partner. Un fattore, questo, che accomuna le ricerche compiute in diversi paesi europei ed occidentali e che dimostra come l’abbandono della relazione costituisca per la donna un elevato fattore di rischio.

Mentre i media e l’opinione pubblica spostano l’attenzione sulla tragicità di questi eventi e sul “potrebbe capitare a chiunque”, l’intenzione delle organizzazioni di donne che redigono queste statistiche è quella di trattare la questione della violenza domestica come un problema politico di prim’ordine.

Rispetto a ciò, secondo Howe, le iniziative di prevenzione ed il sistema della giustizia penale inglese scontano gravi ritardi. Solo nel 2009 è stato sancito che l’infedeltà sessuale non rientri tra le cause scatenanti la “perdita di controllo”, un argomento difensivo che, applicato al reato di omicidio, può ridurre la responsabilità dell’uomo violento facendolo rispondere di omicidio colposo.
Solo nel 2011 una legge inglese ha stabilito l’obbligo di istituire una commissione per ogni caso di omicidio causato da violenza domestica, riunendo tutte le agenzie e i servizi pubblici del territorio in cui è avvenuto. Questa procedura chiamata Domestic Homicide Review, ha lo scopo di portare tutti gli attori coinvolti a rispondere alla domanda: avremmo potuto salvare la vittima?

Ancora, solo nel 2012 una Corte d’Appello inglese ha stabilito che un caso di femicidio si configurasse come una vendetta pianificata ed eseguita a sangue freddo, e non come la solita, inspiegabile ed isolata tragedia.

Afferma Howe che, se pagare con la vita il fatto di lasciare un uomo è qualcosa che le odierne vittime di femicidio condividono con le loro antenate nei secoli, l’indulgenza a cui assistiamo nel ventunesimo secolo, tanto nella cultura dominante quanto nella giurisprudenza, nei confronti degli uomini che agiscono violenza sulle loro compagne, sembra il lascito dell’antico diritto (maschile) di possesso di una donna.

Adrien Howe, Griffith Journal of Law and Human Dignity, Griffith University Australia. Maggio 2014.

Parchi e giardini per ricordare le donne vittime di femminicidio


Oggi vogliamo condividere con voi l’elenco delle strade, dei parchi, dei giardini che si stanno diffondendo in tutt’Italia per ricordare le donne vittime di femminicidio. Vorremmo che sempre più persone venissero a conoscenza dell’esistenza di questi luoghi poiché vorremmo che diventassero non solo luoghi della memoria, ma anche un punto focale per l’attivismo delle donne contro la violenza maschilista ed un punto di partenza per iniziative pubbliche volte ad accrescere la consapevolezza di tutti sulla violenza contro le donne in Italia e nel mondo.

  • Bari
  • Potenza
  • Roma
  • Torino
  • Corigliano Calabro
  • Genova
  • Vittoria
  • Bologna (Zola Predosa)

BARI, Ceglie del Campo. Giardino vittime del femminicidio, incrocio tra via Di Venere, via San Giuseppe Marello e via Municipio. Il parco ricorda in particolare Chiara Brandonisio uccisa a Ceglie del Campo nel 2010.

Sempre a Bari (Palese-Macchie) verrà intestata una strada a “Santa Scorese, Vittima del femminicidio 1968-1991”.

bari 1 ANSA BARI 2 ANSA

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