Più si parla di femminicidi, meglio è!


La copertura mediatica dei femminicidi aumenta la propensione a chiamare una linea
di assistenza antiviolenza oppure aumenta il timore di ritorsioni da parte dell’uomo
violento?
Secondo le studiose e gli studiosi Marco Colagrossi, Claudio Deiana, Davide
Dragone, Andrea Geraci, Ludovica Giua ed Elisa Iori, e la loro ricerca intitolata:
Intimate partner violence and help-seeking: The role of femicide news (Violenza dei
partner e ricerca di aiuto: il ruolo dell’informazione sui femminicidi), pubblicata
recentemente, la copertura mediatica è un canale importante per combattere la
violenza contro le donne.
Secondo il loro studio, dopo la notizia di un femminicidio le chiamate alla linea
telefonica di assistenza (1522) aumentano dell’11% e le denunce di polizia aumentano
del 6%. 1 L’effetto, dovuto, ad esempio, all’empatia o identificazione con la vittima,
sembra essere di breve durata e geograficamente localizzato, siccome si verifica in
provincia e nella settimana successiva a quando è avvenuto il femminicidio. Tuttavia,
questo effetto virtuoso svanisce rapidamente: dopo una settimana il numero delle
chiamate torna alla normalità e dopo un mese altrettanto fa il numero delle denunce.
In più, lo studio dimostra anche che le chiamate aumentano di più quando la vittima è
giovane e senza figli. Inoltre, più il femminicidio è brutale più suscita interesse e
curiosità e la copertura delle notizie è maggiore (per esempio come il crudele
femminicidio della studentessa Giulia Cecchettin).
La ricerca in oggetto ha combinato diverse fonti che si riferiscono al periodo 2015-
2019 in Italia. Le cinque fonti combinate sono le informazioni su i femminicidi
(raccolti dal set di dati della Casa delle Donne per non subire violenza di Bolgona),
le chiamate al numero di emergenza 1522, le segnalazioni in polizia di abusi
domestici e maltrattamenti, le ricerche su Google dei nomi delle vittime di
femminicidi e la copertura giornalistica su violenza contro le donne.
Emerge che, in media, ogni giorno solo l’1.6% delle notizie tratta argomenti legati
alla violenza di genere. Lo studio ribadisce l’importanza di aumentare la
consapevolezza e fornire informazioni, campagne di informazione continuative e
ricorrenti, e discussioni pubbliche per favorire la ricerca di aiuto.

1. Chiamare il numero di assistenza può essere un metodo più sicuro ed efficace per sfuggire alla
violenza, come rifugio e sostegno. Le misure possono essere immediatamente attivate mentre la
privacy della sopravvissuta è protetta. Quando la violenza viene denunciata alla polizia, d’altro canto,
l’aggressore viene informato e ciò può aumentare il rischio di ritorsioni nei confronti della vittima.
Circa una vittima su tre che chiama la linea di assistenza non si presenta alla polizia né fa la denuncia
per paura dell’aggressore, per non avere un posto sicuro dove andare o perché la polizia consiglia di
non denunciare (ISTAT, 2021). Il riconoscimento della violenza e le chiamate alla linea telefonica di
assistenza o alle associazioni delle donne puó essere il primo passo per porre fine alla violenza di
genere.

Le conclusioni dello studio sull’importanza della visibilità mediatica della violenza
contro le donne coincidono con altre ricerche (Levy e Mattsson, 2020, Gauthier,
2022) che mostrano, per esempio, l’effetto del movimento #MeToo sulla denuncia di
crimini sessuali. Si stima un aumento del 10% delle denunce di crimini sessuali su un
ampio campione di paesi OCSE e che il #MeToo rappresenti la causa del circa 25%
dell’aumento delle segnalazioni di crimini sessuali nel periodo 2017-2019.
La forza del #MeToo sta nella sua dimensione politica e sociale, quindi, non solo
dobbiamo avere più notizie e campagne contro il femminicidio e la violenza di
genere, ma anche cercare di capire meglio il fenomeno e incoraggiare una riflessione
su come eridicarlo una volta per tutte. Dobbiamo fare ricerche qualitative per
analizzare perché, per esempio, un femminicidio-omicidio non suscita interesse e
quindi non genera un aumento delle chiamate ai Centri antiviolenza presenti sul
territorio.
Da parte nostra, ci sembra importante ribadire che non tutte le volte che un
femminicidio balza agli onori della cronaca sia anche trattato nel modo giusto e
rispettoso per le donne uccise. Sottolineiamo l’importanza di un’altra cultura
mediatica, non solo che “più notizie ci sono, meglio è”.

2. Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Athanasia Kontochristou

I dati mondiali del femminicidio nel 2021 tramite il nuovo rapporto UNODC e UN Women. 45.000 donne uccise, una strage preannunciata.


Presentiamo, come abbiamo fatto anche l’anno scorso, la sintesi di un report internazionale delll’UNODC (Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine)[1] che è considerata la più affidabile fonte in termini di dati numerici e quantitativi sul femminicidio, malgrado le mancanze dei dati globali.[2] Nel documento in oggetto, contrariamente rispetto a ciò che fa il gruppo di ricerca su femminicidio, si preferisce il termine “uccisioni legate al genere di donne e ragazze” al termine “femminicidio”.

La ricerca “Uccisioni legate al genere di donne e ragazze (femicidio/femminicidio), Stime globali delle uccisioni di donne e ragazze legate al genere nella sfera privata nel 2021. Migliorare i dati per migliorare le risposte”, che si basa su dati provenienti da 103 paesi di tutto il mondo, è prodotta congiuntamente da UNODC e UN Women e mostra che, in media, più di cinque donne o ragazze sono state uccise ogni ora da partner intimi o altri membri della famiglia nel 2021.

Di tutte le donne e ragazze uccise intenzionalmente nel 2021, circa il 56% è stato ucciso da partner intimi o altri membri della famiglia (45.000 su 81.000), a dimostrazione del fatto che la casa non è un luogo sicuro per molte donne e ragazze. Le donne dovunque vengono uccise nella sfera privata dai loro (ex) compagni e famigliari, molto più degli uomini. Mentre, la stragrande maggioranza delle uccisioni in generale sono commesse da e contro gli uomini, solo l’11 per cento di tutti gli omicidi maschili avviene nella sfera privata.

I dati del 2021 mostrano inoltre che nell’ultimo decennio il numero complessivo di femminicidi è rimasto sostanzialmente invariato, ribadendo la causa strutturale e patriarcale del fenomeno. Anche se questi numeri sono allarmanti, la vera portata del femminicidio potrebbe essere molto più alta. Troppe vittime di femminicidio non vengono ancora conteggiate. Date le incongruenze nelle definizioni e nei criteri di collezione dei dati tra i paesi, per circa quattro donne/ragazze su dieci uccise intenzionalmente nel 2021, non ci sono informazioni sufficienti per identificarle come femminicidio, specialmente per quelle uccisioni che avvengono nella sfera pubblica (i.e. sex workers).

Per quanto riguarda le stime regionali, che assomigliano a quelle dell’anno precedente, l’Asia è di nuovo il continente che presenta il maggior numero di donne uccise in termini assoluti (17.800 donne e ragazze uccise solo nel 2021 per 100.000 abitanti femminili), mentre in Africa le donne uccise sono il numero più alto in relazione alla sua popolazione femminile (17.200 vittime). In particolare, il tasso di femminicidi legati alla famiglia è stato stimato a 2.5 per 100.000 donne in Africa, rispetto a 1.4 nelle Americhe, 1.2 in Oceania, 0.8 in Asia e 0.6 in Europa.

Il rapporto rileva inoltre che la pandemia di coronavirus del 2020 ha coinciso con un aumento del femminicidio in Nord America e in misura minore nell’Europa occidentale e meridionale. I dati provenienti da 25 paesi in Europa e nelle Americhe mostrano che l’aumento dei numeri è stato in gran parte dovuto agli omicidi compiuti da membri della famiglia diversi da coniugi e partner.[3] Mentre la pandemia da Covid-19 ha avuto impatti eterogenei nelle diverse regioni del mondo, le diminuzioni del tasso di femminicidi che sono avvenute in alcune sotto regioni, come spiega il report, potrebbero riflettere ritardi nella registrazione dovuti a Covid-19 piuttosto che riduzioni del numero di uccisioni.

I suggerimenti di questo report sono altrettanto importanti. Per cogliere l’intera dimensione di questo crimine e di districare la sua complessità è cruciale capire la dimensione del problema. La raccolta di dati sui femminicidi è un passo fondamentale per stabilire politiche e programmi volti a prevenire ed eliminare la violenza di genere.

Per rafforzare la raccolta e l’armonizzazione dei dati a livello globale, UNODC e UN Women hanno recentemente sviluppato il quadro statistico per misurare il femminicidio (Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls (also referred to as “femicide/feminicide”)[4] che fornisce una definizione comune del femminicidio e stabilisce i criteri dell’identificazione di questo crimine di genere. Tranne il criterio di relazione tra la vittima e il perpetratore (relazioni di intimità o famiglia), altri criteri sono per esempio quando la violenza sessuale è stata commessa prima dell’uccisione o quando c’è mutilazione del corpo o quando la vittima lavorava nell’industria del sesso.

Inoltre, le informazioni disponibili sulle uccisioni che coinvolgono gruppi emarginati come donne aborigeni e indigeni e persone LGBTQI+ devono migliorare, perché è chiaro che le categorie più vulnerabili sono estremamente colpite dalla violenza di genere, persone delle quali all’interno del discorso dominante non si parla.

Ci preme ricordare, però che la gestione e la prevenzione del fenomeno del femminicidio non si esaurisce alla creazione di statistiche complete ed accurate, perché le donne morte non sono solo numeri da contare. In futuro, dobbiamo capire quali sono i bisogni delle sopravvissute, sentire le loro voci e poi agire sul piano sociale. Mentre il report fa riferimento a un quadro di prevenzione (“RESPECT”)[5] che include la diminuzione della povertà, noi sottolineamo che dobbiamo sradicare le cause strutturali di questo fenomeno che sono fondamentalmente l’ineguaglianza di genere e l’ingiustizia sociale. Non vogliamo solo meno donne uccise con l’intervento di autorità efficaci ma la trasformazione delle norme sociali e l’eliminazione del patriarcato attraverso un modello sociale differente!

Athanasia Kontochristou, in collaborazione con Margherita Apone


[1] https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/briefs/Femicide_brief_Nov2022.pdf

[2]https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2021/653655/EXPO_BRI(2021)653655_EN.pdf

[3]Per “la pandemia del femminicidio intra-famigliare” successa anche in Italia nel 2020 e 2021, i dati e gli approfondimenti sono riportati sui nostri report (https://femicidiocasadonne.wordpress.com/ricerche-pubblicazioni/) .

[4] UNODC presenterà i primi risultati dell’applicazione del quadro statistico nel 2025.

[5]Relationship skills strengthened (Rafforzamento delle capacità relazionali), Empowerment of women (Empowerment delle donne), Services ensured (Servizi garantiti), Poverty reduced (Riduzione della povertà), Environments made safe (Ambienti resi sicuri), Child and adolescent abuse prevented (Prevenzione degli abusi su bambini e adolescenti), Transformed attitudes, beliefs and norms (Atteggiamenti, credenze e norme trasformati).

Atlante del femminicidi


Per la prima volta in Italia viene presentato un Atlante dei femminicidi, una piattaforma interattiva che rappresenta visivamente i femminicidi occorsi in Italia nell’anno 2021.

Ogni donna uccisa è rappresentata con un segno sulla mappa. Trovate 106 storie, descritta diversamente rispetto la stampa che spesso usa stereotipi per definire i crimini.

L’Atlante verrà presentato all’interno del Festival della violenza illustrata, la rassegna culturale organizzata dalla Casa delle Donne in occasione di ogni 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Il lavoro svolto nel corso del 2021-2022 dal Comune di Bologna, insieme alla Casa delle donne e Studio Atlantis ed è stato finanziato dalla Regione Emilia-Romagna.

Una partecolare attenzione è stata data anche alle immagini, in quanto sono stati coinvolti decine e decine di illustratori e illustratrici che hanno contribuito con un ritratto della donna uccisa, portato a termine come contributo volontario e impegno politico. Un regalo per restiuire dignità alle donne, spesso trattati con morbosità sulla stampa.

Il 6 dicembre 2022, ore 15.00 in Sala Tassinari, a Bologna, vi sarà la Presentazione dell’Atlante

Per accedere direttamente all’Atlante cliccate qui

I femicidi del 2021 in Italia


Come tutti gli anni il Gruppo di ricerca sul femminicidi della Casa delle donne pubblica i dati delle donne uccise in Italia. Sono gli unici dati a accesso aperto da scaricare liberamente. I dati riguardano tutti i femminicidi in Italia riportati dalla stampa.

Trovate qui sotto è una infografica sintetica, mentre potete trovare il Report completo sul nostro blog.

I diritti fondamentali non sono un’opinione. Accuse plurali all’Italia tra femminismi e Corte europea


In una settimana sono stati sette i femminicidi rimbalzati su media e social media e come al solito narrati come la conseguenza di un raptus. Come Casa delle donne sappiamo che l’escalation di una storia di violenza non solo non si ferma, ma continua a impennare le proprie curve proprio in quanto frutto di strutturalità e sistematicità della violenza maschile ed eteropatriarcale. 

Nevila e Camilla, Lidija e Jenny Gabriela, Lorena, Noelia, Gabriela e Renata, Filomena, Elisabetta, Donatella sono solo alcuni dei nomi delle donne uccise nel mese di giugno: la media è un femminicidio ogni 72 ore. Gabriela e Renata, madre e figlia, sono state uccise mentre pendeva la richiesta di archiviazione per violenze e il giorno successivo ci sarebbe stata l’udienza di separazione. Elisabetta aveva avviato le pratiche di separazione dal marito. Lidia e Gabriela erano rispettivamente ex moglie ed ex compagna dell’uomo che le ha uccise. Noelia è stata uccisa per aver deciso di mettere fine alla relazione violenta. 

Come Casa delle donne sappiamo che queste sono morti annunciate, morti che purtroppo rivelano un’altra fondamentale problematica e cioè la mancanza di formazione e competenze specifiche sulla violenza di genere nelle Procure e  nei Tribunali, la scarsità di una rete di protezione sociale e giuridica e la necessità fondamentale di una prevenzione culturale più capillare. A condannare il sistema giudiziario italiano non sono solo le reti di centri antiviolenza, associazioni e gruppi femministi, ma anche la Corte di Strasburgo, per la quinta volta, con 27 pagine di istruttoria e una lunga sentenza sul caso Silvia de Giorgi. Nel 2019, Silvia che aveva più volte denunciato il marito violento e la quale, come la maggior parte delle donne che denunciano rivolgendosi alle istituzioni, non era stata creduta si era rivolta direttamente alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.  La condanna di Strasburgo si ricollega in primis all’art.3 della Convenzione dei diritti umani che, ricordiamo, punisce la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. 

Non è la prima condanna rivolta alle autorità giudiziarie e allo Stato italiano che, più volte negli ultimi anni, è stato accusato di non aver adottato misure necessarie e appropriate per tutelare le donne che subiscono violenza. 

L’Italia risultava già sotto vigilanza dal caso Talpis risalente al 2017. Nel 2018 è la volta della seconda condanna a seguito del caso di una minorenne esposta a violenza sessuale e a prostituzione forzata, aggravata delle lunghe tempistiche processuali e amministrative che non hanno tutelato la vittima collocandola in una struttura protetta come sarebbe stato giusto fare. 

Nel maggio 2021, quando la Corte d’Appello di Firenze ribalta la sentenza contro sette giovani accusati di stupro,  l’Italia attira verso sè l’ennesima condanna, questa volta per violazione della vita privata e familiare. La Corte europea, infatti, sottolinea le problematicità legate alla decisione della Corte d’Appello fiorentina: stereotipi, vittimizzazione secondaria e passaggi irrispettosi della vita privata della donna. Nell’aprile 2022 giunge la quarta condanna a seguito del caso Annalisa Landi, l’ennesima donna che aveva denunciato ma le cui denunce erano rimaste pendenti fino alla tragedia. 

Quella che viviamo è una crisi democratica legata a uno Stato patriarcale che non riesce a riconoscere e mettere in atto “best practice” in linea con le elaborazioni internazionali in materia di diritti fondamentali, perché ricordiamo i diritti delle donne sono diritti umani fondamentali.   

Tamara Roma

Bambini nella Tempesta, di Teresa Bruno


Un libro guida per il trauma della violenza assistita e del femminicidio sui minori.

BAMBINI NELLA TEMPESTA

Il libro di Teresa Bruno Bambini nella tempesta : gli orfani di femminicidio, Paoline, 2022 non è solo un’opera importante per gli orfani di femminicidio ma anche una proposta concreta per il loro sostegno attraverso un ad hoc approccio multifattoriale. La scrittrice, attraverso la sua esperienza come psicologa psicoterapeuta e presidente del Centro antiviolenza Artemisia di Firenze (2014-2021), illumina le caratteristiche della violenza domestica e la violenza assistita, un fenomeno nascosto per anni e solo recentemente apparso in luce. Gli studi, le testimonianze, le storie, le tragiche sofferenze delle/i bambine/i di donne maltrattate, le buone prassi d’intervento, diventano una guida per affrontare “la tempesta” della violenza, specialmente sui minori.

La violenza assistita è ritenuta una violenza diretta sul minorenne, con effetti negativi sul funzionamento emotivo, comportamentale, cognitivo, sociale e fisico dei/delle bambini/e. Tramite l’esperienza del centro Artemisia e le testimonianze dei casi nel libro c’è un approfondimento del ambiente traumatico. Vari studi dimostrano che la violenza assistita e l’esposizione precoce alla violenza è uno dei maggiori predittori di rischio di violenza in età adulta come vittima o come aggressore. Per non parlare degli esempi tragici del padre che usa o uccide i figli per vendicarsi della madre. 

Inoltre, da tutte le ricerche italiane menzionate nel libro (i.e. della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul femminicidio), e le Indagini di revisione (Domestic Fatality Review) di altri paesi si vede la stretta correlazione tra femminicidio e violenza domestica. Nella magior parte dei casi si registra un incrementο della violenza che porta al femminicidio. Se la violenza domestica è la base dell’iceberg, il femminicidio è il suo punto. Quasi “nessun omicidio è avvenuto senza seganli di preavviso” all’interno della coppia. Inoltre, i dati statistici mostranto che nonostante il calo sugli omicidi alla criminalita organizzata, le vittime in “contesti relazionali” aumentano negli anni.  

Il femminicidio è un evento traumatico non soltanto in sè, ma anche per tutte le persone che restano dietro. L’impatto sulle “vittime più indifese” che sono i figli e le figle, quando perdono le madri per mano dei padri, è enorme, “è quello di una tempesta”. Ricordando il lavoro di Anna Costanza Baldry e la ricerca all’interno del progetto Switch-off ma anche ricerche piu recenti come quelle di Daniela Lanini a livello regionale di Toscana, la scrittrice riafferma che gli omicidi di donne madri da parte di partner o ex partner hanno consegunenze tragiche sugli “orfani speciali”. Il trauma legato al femminicidio sulle “vittime invisibili” deve essere affrontato con mirati interventi da professionisti di una formazione specifica sul trauma.  

Se la legge n. 4 del 2018, tutela gli orfani a causa di crimini domestici,  è una conquista a livello legale, deve essere anche applicata con concrete prassi di intervento e un approccio multiprofessionale articolato e coerente. Un osservatorio nazionale sul femminicidio e sugli “orfani speciali” sarebbe utile per questo scopo, anche perché la mancanza dei dati per quanto riguarda gli “orfani speciali” a livello sia nazionale che regionale è allarmante. Il contributo di ricerche sporadiche e il lavoro volontario del gruppo femicidio della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna di registrare i/le bambini/e di sicuro non bastano. Il progetto Orphan of Femicide Invisible Victim, a cui fa parte anche la Casa delle Donne di Bologna, è un buon progetto, però il contesto problematico che avvogle le “vittime vive” del femminicidio non aiuta la sua applicazione.

Come evidenziato nel libro, mentre le narrazioni dei media occultano il problema strutturale della violenza sulle donne, le mancanze di specifiche politiche d’intervento, le mancanze del sistema sociosanitario, le negligenze istituzionali e professionali e la mancanza di comunicazione tra la parte penale e la parte civile di tutela del minore fanno sì che gli interventi arrivino troppo tardi o sono proprio unitili: ricordiamoci il caso di Federico Barakat ucciso durante l’incontro “protetto” con il padre, anche se la madre aveva segnalato la pericolosità dell’uomo e anche se il bambino non voleva vederlo. Intanto, gli stereotipi del sistema giudiziario che colpevolizzano la donna è una forma di violenza istituzionale, corresponsabile del continuum della violenza. “Le vittime non sono soltanto vittime di un marito che le ha uccise, bensi anche di un sistema che non è abbastanza protettivo”.

Secondo la Convenzione di Istanbul, la prevenzione deve andare passo a passo con la  protezione delle donne e dei figli, il perseguimento del colpevole e l’applicazione di politiche integrate per il supporto delle vittime. Il modello ecologico, promosso nei rapport dell’Organizzazzione Mondiale della Sanità, può essere utile per analizzare la correlazione dei fattori individuali, relazionali, sociali, culturali e ambientali sull’emersione della violenza.

Ci sono tantissimi dati, modelli e proposte interessanti a questo libro sintetico che approfondisce a questo complesso argomento tramite i suoi quattro capitoli (caratteristiche di un fenomeno, l’esposizione alla violenza, Il trauma e interventi e linee guida). Speriamo che dopo questo libro, nessun altro bambino dice “dove eravate quando avevo bisogni di voi?”come ha referito un adolescente al centro antiviolenza Artemisia.  Speriamo piuttosto che cambi la mentalità patriarcale e il sistema che crea ad un punto padri maltrattanti e dall’altro vittime.

Athanasia Kontochristou 

Il femminicidio a livello globale ed europeo attraverso gli studi di UNODC e EIGE






Riportiamo qui una sintesi di due rapporti interessanti e significativi sul femminicidio, prodotti il primo a livello internazionale e il secondo a livello europeo. 
La prima ricerca dell’UNODC[1], si basa su dati provenienti da 95 paesi riguardanti le uccisioni di donne e ragazze legate al genere da parte di partner o familiari. La ricerca, che si basa sui dati del 2020, conteggia circa 47.000 donne e ragazze in tutto il mondo sono state uccise dai loro partner intimi o altri membri della famiglia anche se non nomina mai la parola femminicidio. Questo significa che, in media, una donna/ragazza viene uccisa da un membro appartenente la sua famiglia ogni undici minuti nei territori analizzati. La ricerca mostra come la situazione non sia migliorata nell’ultimo decennio e come le donne e le ragazze in tutto il mondo sono colpite da questo tipo di violenza di genere. 
Con una stima di circa 18.600 vittime, l'Asia è il continente che presenta il maggior numero di donne uccise in termini assoluti, mentre in Africa le donne uccise sono il numero più alto in relazione alla sua popolazione femminile (numero di vittime per 100.000 abitanti femminili). 
Lo studio fornisce anche una disamina delle tendenze dell’ultimo decennio (2010-2020): secondo i dati esaminati le uccisioni di donne sono diminuite del 13% in Europa con differenze nelle varie regioni (un lieve calo complessivo in diversi paesi nell'Europa orientale) e sono invece aumentate del 9% nelle Americhe (Stati Uniti e America Centrale e del Sud).
Per quanto riguarda l’impatto che ha avuto la pandemia da COVID-19 sulle uccisioni di donne determinate dalla violenza di genere i dati globali rimangono assai frammentari e incompleti ma sembra che i femminicidi famigliari siano rimasti relativamente inalterati durante i periodi di lockdown e di quarantena. 
Lo studio accenna anche all’aumento della violenza di genere accaduto in Italia e Argentina durante il primo lockdown, tra marzo e maggio. 
Un altro interessante dato riportato dalla ricerca consiste nell’aver verificato che le uccisioni di donne legate a partner intimi /familiari rappresentano il 58% delle totali uccisioni di donne e ragazze (81.000) nel 2020 e che sembra siano le più difficili da prevenire rispetto ad altri tipi di uccisioni. 
L’analisi, infine, ribadisce che anche se a livello mondiale le donne rappresentano una minoranza della totalità delle persone morte in maniera violenta (90% di tutte le vittime di omicidio nel 2020 sono uomini o ragazzi), le donne rappresentano la maggior parte delle vittime di morte violenta in contesto familiare in ogni parte del mondo. Pur notandosi un calo del fenomeno degli omicidi in generale, i femminicidi non diminuiscono con la stessa incidenza, perché si tratta di un fenomeno culturale legato al genere.
Anche la ricerca di EIGE [2] pone l’attenzione sul problema rappresentato dai femminicidi a livello sia internazionale che europeo. Il rapporto in questione non si limita solo a nominare il crimine di genere contro le donne come femminicidio ma fornisce al suo lettore un utile confronto tra i sistemi di raccolta dati dei 27 Stati membri dell'UE (UE-27) e del Regno Unito. 
Basandosi su un questionario e un sondaggio on-line di esperte ed esperti nazionali, la ricerca svolta tra luglio 2019 e novembre 2020, ribadisce che i sistemi di raccolta dei dati nell'UE rimangono molto eterogenei. Non tutti i femminicidi sono considerati come tali e manca una definizione comune di femminicidio, come mancano i fattori chiari e che identifichino l'uccisione delle donne, come mancano variabili comuni per la raccolta di dati e ai problemi associati ai casi delle donne scomparse. 
Inoltre, come per le ricerche svolte della Casa delle Donne di Bologna per non subire violenza, risulta chiaro che la fonte da cui si estrapolano i dati più comune per studiare il femminicidio sono spesso quelli dei media e non i dati della procura e gli atti di tribunale, fonti più certe ma a cui avere accesso è assai più complesso.
Lo studio presenta gli ossrvatori sui femminicidi/omicidi in Europa e nel mondo, evidenziando i modelli nazionali degni di lode, come quelli di Finlandia, Spagna e Italia. Finlandia rappresenta un buon esempio nella raccolta di informazioni sul femminicidio tra partner intimi: la Finlandia ha potuto anche specificare che dal 2014 al 2018 non si sono verificati omicidi tra partner intimi tra coppie lesbiche, ne si è concluso che tutti i perpetratori erano uomini di età pari o superiore a 18 anni. La Spagna offre una delle raccolte di dati più ricche dell'UE sul quadro istituzionale. Il coordinamento, infatti, di diverse istituzioni spagnole, l’esistenza di tribunali specializzati sulla violenza di genere permette l’identificazione corretta e una efficace raccolta di dati sui femminicidi che non ha eguali in Europa. È possibile accedere ai dati sul sito web dell'Ufficio del governo spagnolo contro la violenza di genere[3] e dell'Istituto nazionale di statistica spagnolo[4]. 
Anche Italia, secondo l’EIGE, offre un buon esempio nella raccolta di informazioni sugli omicidi. Il report fa riferimento alla raccolta dati del Ministero degli Interni, Ministero della Giustizia, le ricerche ISTAT, i dati dell’ EURES (Ricerche Economiche e Sociali) e i dati della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. Nel paragrafo dedicato all’analisi dell’Italia EIGE “Measuring femicide in Italy”[5], vengono presentati si riportano i dati sintetici dal 2014 al 2018, differenziando tra diversi fonti di proveniente: dati ufficiali e non ufficiali.
Dall’analisi comparata di Eurostat dei 24 paesi analizzati, risulta che l’Italia rispetto la rata dell’uccisione di donne risulta il 5 paese con la percentuale più bassa (0,45 per 100.000 abitanti), mentre risulta al 9 posto per quanto riguarda donne vittime di omicidi commessi da partner intimi, il 10 posto come vittime uccise da familiari e parenti. I paesi, in questa tabella comparata, che risultano in assoluto con un più alto tasso di femminicidio sono Littuania e Lettonia.
In conclusione, crediamo siano importanti i suggerimenti dell’EIGE volti a sincronizzare la raccolta dei dati negli Stati membri dell’UE. È cruciale stabilire una definizione comune, indicatori in grado di armonizzare i processi di raccolta dei dati, un quadro e protocolli sul femminicidio per tutti gli Stati membri dell'UE e promuovere l'istituzione di osservatori nazionali sul femminicidio.
 
Athanasia Kontochristou, in collaborazione con Margherita Apone

[1] Ufficio dell’ONU sulle droghe e il crimine: https://www.unodc.org/lpo-brazil/en/frontpage/2021/11/unodc-research-2020-saw-a-woman-or-girl-being-killed-by-someone-in-their-family-every-11-minutes.html

[2] EIGE: Istituto europeo per l’uguaglianza di genere: https://eige.europa.eu

[3] https://violenciagenero.igualdad.gob.es/violenciaEnCifras/victimasMortales/home.htm

[4] https://www.ine.es/up/Lut3I3FW

[5] Misurare il femminicidio in Italia

Presentazione dell’Atlante dei femminicidi


Giovedì 9 dicembre 2021, nell’ambito della XVI edizione del Festival La Violenza Illustrata verrà presentato il progetto dell’Atlante dei femminicidi. Un progetto finalizzato alla conoscenza, lo studio e la comunicazione del fenomeno del femminicidio in Italia.

Il progetto è finanziato dalla Regione Emilia Romagna attraverso il Bando D. G. R. n. 673/2021, cofinanziato dal Comune di Bologna, dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, dalla Cooperativa Stellaria e dallo Studio Atlantis.

Verrà coinvolto l’Osservatorio regionale sulla violenza di genere per approfondimenti sui casi della Regione Emilia-Romagna e nell’attività di disseminazione del progetto, verrà inoltre consultato per un confronto costante sullo svolgimento delle attività.

I partner del progetto sono Città Metropolitana di Bologna, il Coordinamento dei Centri
Antiviolenza dell’Emilia Romagna, l‘Istituto Storico Parri, la Rete D.i.Re, in qualità di
patrocinio gratuito.